Scrivere è come respirare

Incontro con Valentina Farinaccio, una delle voci più interessanti della nuova narrativa italiana.

Folgorante il suo romanzo di esordio La strada del ritorno è sempre più corta (Mondadori), sul tema del dolore. Struggente e luminoso il suo secondo libro, Le poche cose certe, sempre con Mondadori, sulla ricerca di felicità. Valentina Farinaccio è qui davanti a me col suo sorriso, la sua serenità, la sua voglia di ascoltare e raccontarsi.

Cosa la spinge a scrivere?
La vita. Scrivere è per me come respirare, scrivo sempre, di tutto. Intravedo in tutto quanto osservo una storia. È l’uomo con le sue passioni, le sue ricerche, i suoi turbamenti che entra in me e mi chiede di essere raccontato.

Parole forti che sorprendono in una giovane scrittrice come lei
Mica tanto giovane, nei miei 38 anni mi sento a cavallo tra due mondi e due generazioni che spesso sono in conflitto tra loro: quello tipico dei giovani e quello della vita adulta.

Due mondi che invece dovrebbero incontrarsi e convivere come dice il filosofo Aldo Masullo. Lo scontro generazionale e la separazione di questi due mondi rappresentano due aspetti critici della società odierna.
Sì, è vero, anche se ho fiducia nei giovani nonostante certe situazioni al limite.

Come ricorda i suoi anni giovanili?
Vengo dalla generazione appena prima di quella della rete virtuale. Ho avuto l’esperienza scout e so cosa significa ritrovarsi insieme, fare gruppo. Inoltre c’era rapporto tra il nostro mondo e quello degli adulti; abbastanza sereno. Oggi i giovani sono connessi e trovano difficoltà a ritrovarsi. È la realtà. D’altra parte, però, quando vado nelle scuole per incontrarli mi rendo conto che sono più equipaggiati, più ricchi di informazioni.

Pensa quindi che saranno in grado di affrontare le sfide del futuro?
Penso proprio di sì, anche perché loro hanno davanti un mondo abbastanza tragico, che offre stimoli e suscita interrogativi, per cui la loro vita non è proprio semplice. La rete che li lega sembra portarli fuori dalla realtà, ma prima o poi sono chiamati a fare i conti con essa e io penso proprio che sapranno affrontarla.

So che ha realizzato recentemente un servizio sul cosiddetto Open Day nelle scuole. Come le appare la realtà scolastica oggi?
In questa indagine che ho appena realizzato, ho trovato eccessivo questo “vendersi” delle scuole alle famiglie. Come se ogni scuola fosse un prodotto, in concorrenza con altre scuole! La scuola è un’esperienza di vita, dove l’importanza sta nel metodo educativo, su come ci si rapporta docenti e alunni e su come si suscita l’interesse per la conoscenza e la ricerca. Con sorpresa ho constatato che nessun genitore chiedeva di conoscere il metodo educativo applicato in quella scuola.

Dice bene, esperienza di vita, anche se aggiungerei: laboratorio fondamentale di quel “bene relazionale” senza il quale ogni esperienza sociale è fallimentare.
Sicuramente bisogna educare i giovani a convivere con le diversità, a rispettarsi, a non esercitare violenza e a rifiutare quei modelli politici e sociali che rifiutano il dialogo e il confronto.

Fondamentale il ruolo dell’insegnante, che deve sapersi connettere con il complesso mondo dell’adolescenza.
Quando il docente abdica a questo suo ruolo, avviene quello che succede nelle famiglie dove i genitori affermano di essere amici dei figli. Posizioni entrambe tragiche. Il genitore svolge il suo ruolo come il docente svolge il suo ruolo. I giovani hanno bisogno di queste forti e coerenti testimonianze degli adulti.

È stata per me una sorpresa leggere alcune pagine dei suoi libri dove con grande sensibilità lei tratta il tema del dolore nella vita dei personaggi.
La nostra vita fin dall’infanzia è segnata dal dolore. Dobbiamo pertanto aiutarci ad attraversarlo, non fuggirne. Bisogna attraversarlo come si attraversa un tunnel, sapendo che alla fine ci sarà la luce. Il vissuto doloroso non si dimentica, ma una volta attraversato non nuoce più alla nostra vita, anzi diventa un punto forte.

Procida entra nel suo secondo romanzo, Le poche cose certe. Una scelta casuale?
No, voluta. Procida è il luogo nel quale amo scrivere. Il luogo che mi ispira molto. Questo secondo libro l’ho scritto sull’isola in una casetta giù alla Corricella. Amo tornarci spesso, mi sento attirata da questo spazio magico e meraviglioso.

 

 

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