Scott Joplin, il re del ragtime
Usa, primo decennio del Novecento. Nei locali dei quartieri malfamati di alcune città frequentati da afroamericani impazza una forma di musica sincopata, risultato di una delle tante contaminazioni di musiche da ballo e marce europee con gli stili e i ritmi africani. Diffusasi già a fine Ottocento nel Sud e nel Midwest attraverso gli spartiti e i rulli di pianola (un pianoforte automatico azionato da un congegno meccanico), è una musica a carattere prevalentemente pianistico, briosa ed elettrizzante se suonata in fretta, struggente e nostalgica se a ritmo più lento.
È il ragtime, che letteralmente significa “tempo stracciato” o “a brandelli”: rimarrà popolare fino al secondo decennio del XX secolo, per poi lasciare posto al jazz e al blues. C’è chi la considera con disprezzo “musica da bordello”, sottovalutando le potenzialità contenute nella sua particolare ritmica e nelle sue dissonanze dovute agli accordi diminuiti e di settima.
Chi ha estratto questo diamante grezzo dal fango e l’ha lavorato, conferendo dignità di “classico” ad un genere musicale che avrebbe influenzato autori come Dvořák, Débussy, Ravel, Satie, Stravinskij e altri, è una voce fuori dal coro: il pianista e compositore Scott Joplin, acclamato “re del ragtime” a partire dallo straordinario successo di Maple Leaf Rag (Ragtime della foglia d’acero) del 1899.
Grazie a The Entertainer, altro suo brano utilizzato nel film La stangata del 1973, Premio Oscar per la migliore colonna sonora, il ragtime ha conosciuto un inaspettato revival negli anni Settanta del secolo scorso, malgrado la vicenda sia ambientata a metà degli anni Trenta, epoca in cui dominava lo swing e il ragtime era stato accantonato ormai da un cinquantennio.
Tuttora questo genere nato fra i neri emarginati, ma che segue le regole armoniche europee, conta appassionati e compositori di musica rag (a Sedalia in Missouri, patria d’adozione di Joplin, lo si celebra annualmente con lo “Scott Joplin Ragtime Festival”). La sua rigorosa tecnica, che impegna sulla tastiera entrambe le mani in ritmi diversi, richiede un’agilità che sembra prerogativa naturale dei pianisti di colore, superando per difficoltà molti brani dei più famosi compositori ottocenteschi del Vecchio Mondo.
Scott Joplin nasce probabilmente nel 1868 in una capanna al confine tra Texas e Arkansas, secondo di sei figli. Il padre, un ex schiavo che si guadagna da vivere nei campi, si diletta di violino; la madre, una donna libera, canta e suona il banjo. A Texarkana, dove i Joplin si trasferiscono dopo il 1872, il giovane Scott ha le sue prime occasioni di cimentarsi col pianoforte di un ricco bianco di origini tedesche, Julius Weiss, presso il quale è a servizio la madre.
Notato il suo talento, mr. Weiss gli offre delle lezioni gratuite di piano e lo introduce alla conoscenza delle forme classiche della musica europea, il cui influsso sarà evidente nelle future composizioni. Negli anni Ottanta del XIX secolo, per guadagnarsi da vivere Scott girovaga nel Midwest, da St. Louis a Chicago, e da questa città a Sedalia, suonando con alcune band nei saloon e venendo a contatto con musicisti neri e con le musiche allora in voga. A Sedalia, dove si stabilisce e studia composizione presso il George Smith College, trova impresari che lo aiutano a pubblicare le sue composizioni pianistiche. Fino al primo vero successo rappresentato da Maple Leaf Rag, il cui spartito venderà almeno mezzo milione di copie entro gli anni Venti del Novecento. Frenetico, intanto, è il suo lavoro di composizione, incessante la ricerca musicale.
Scott si sposa due volte, ma nessun matrimonio va a buon fine: il primo, dal quale nasce una bambina che sopravvive solo pochi mesi, si conclude con un divorzio; il secondo, con la morte per polmonite della moglie appena due mesi dopo le nozze. A lei dedicherà nel 1905 Bethena, un delicato valzer ragtime che rimane tra le sue pagine migliori. Al dramma familiare si aggiunge il ritorno delle ristrettezze finanziarie.
Nel 1916 Joplin comincia a soffrire per gli effetti di una sifilide contratta un paio di decenni prima. Nonostante l’alternarsi di episodi di demenza, paranoia e paralisi, riesce a incidere sul piano meccanico sei composizioni, uniche sue registrazioni oggi in nostro possesso. A metà gennaio 1917 viene ricoverato in un manicomio di New York, l’ultima città dove si è stabilito: fino all’ultimo, negli sprazzi di lucidità, scriverà frammenti di battute musicali. Muore il 1º aprile 1917 a 49 anni, ignorato dai giornali un po’ perché il ragtime è stato ormai surclassato dalla musica jazz, un po’ perché l’attenzione del pubblico è rivolta all’ormai prossimo ingresso degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale.
Scott Joplin, di cui ci restano solo due foto e musiche tra le più belle mai composte negli Usa, era ossessionato dall’idea di affermarsi come autore “classico”. Il suo componimento più ambizioso e innovativo, infatti, rimane Treemonisha, melodramma in tre atti del 1911 che porta in scena una comunità afroamericana e il suo tentativo di emanciparsi dall’inferiorità sociale e culturale nella quale, pur liberati dagli esiti della guerra civile, continuano a vivere i neri degli Stati del Sud. Leader di tale riscatto è per di più una donna.
A Treemonisha in particolare (di cui Joplin scrisse musica e libretto) Luca Cerchiari ha dedicato un saggio edito ora da Mimesis: Dal ragtime a Wagner, dove il noto musicologo milanese evidenzia l’intuizione dell’autore di unire spiritual, blues, marce e danze tradizionali, che formano il substrato del ragtime, con le suggestioni ricevute da Wagner ascoltando alcuni brani del Tannhäuser, e quelle di altri esponenti della musica europea. Il volume comprende anche il testo completo del libretto nell’originale inglese e nella traduzione italiana.
Ignorata dagli impresari e mai rappresentata in vita (non si concepiva, all’epoca, che un uomo di colore aspirasse a scrivere musica “colta”), l’opera avrà gloria postuma grazie soprattutto alla riscrittura orchestrale di Gunther Schuller, ottenendo il Premio Pulitzer quattro anni dopo la prima esecuzione del 27 gennaio 1972 ad Atlanta in Georgia (Usa). Nel 1977 appare sugli schermi cinematografici anche Scott Joplin, film sulla vita del compositore diretto da Jeremy Kagan con protagonista l’attore statunitense Billy Dee Williams.
Tutti gli spartiti musicali lasciati da Joplin, compresa Treemonisha, sono per pianoforte. Che egli avesse però in mente un’intera orchestra, quando componeva al piano, risulta chiaro ascoltando le varie versioni strumentali dell’opera lirica e di alcuni rag, oggi in circolazione. “Tagliato” con altre sfaccettature capaci di catturare la luce, quel diamante continua ad affascinare sprigionando nuovi splendori.