Scontro Trump Zelensky, dilemma Europa

Fervono gli incontri informali sull’asse Parigi-Londra riservati ad alcuni Paesi europei e della Nato, oltre la presidenza della Commissione Ue e Zelenzky, per definire una linea condivisa di fronte alla destabilizzate strategia di politica estera che il presidente Usa Donald Trump esercita, irritualmente, anche attraverso il vicepresidente Vance e il consigliere e finanziatore Elon Musk. Si deve a quest’ultimo la più recente esternazione sull’auspicabile uscita degli Stati Uniti non solo dall’Onu ma anche dall’Alleanza Atlantica, cioè dall’organizzazione politico militare guidata e controllata strettamente da Washington. Un’istanza fatta propria da alcuni senatori repubblicani.
Ma se la figura di Musk è stata finora prefigurata solo in pellicole paradossali come il film Don’t look up, che merita rivedere, anche l’attivismo di Vance è decisamente lontano dal ruolo defilato e silente assegnato finora al vice del “numero uno”, investito dall’aura sacrale che circonda il “destino manifesto della Nazione”.
Al rappresentante dell’America bianca impoverita dalla globalizzazione dei mercati, al politico dell’Ohio nato nel 1984 (pochi anni prima del crollo del Muro di Berlino), Trump ha affidato una dichiarazione ostile contro l’attuale leadership dei Paesi europei, un attacco sferrato durante l’incontro informale che ogni anno si svolge a febbraio presso un albergo di Monaco di Baviera avente a tema la sicurezza dell’Occidente e quindi del mondo. Un discorso pronunciato a ridosso delle elezioni politiche in Germania viste con grande interesse dall’entourage della Casa Bianca, che ha espresso lodi e incoraggiamenti al partito di estrema destra Afd.
Una difesa senza Usa?
Oltre alle critiche sull’enfasi data in Europa ai diritti civili a discapito della tradizione occidentale, la questione centrale resta quella del contrasto più deciso dell’immigrazione “irregolare” e la presa in carico da parte europea degli oneri della Difesa militare assicurata finora dal dispiegamento di uomini e mezzi Usa presenti nel continente dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Sembra che nella narrazione prevalente tra gli elettori statunitensi che hanno incoronato Trump, esista una irritazione verso le nazioni alleate che vivrebbero a sbafo sulle spalle degli Usa. Il peso più gravoso è oggi quello del sostegno economico e militare da assicurare all’Ucraina dopo 3 anni di resistenza all’invasione russa del 24 febbraio 2022.
Trump non ha perso tempo dopo lo scontro in diretta con Zelensky e ha annunciato lo stop alle forniture militari all’Ucraina.
Ovviamente è anche da sempre presente all’interno dell’Europa un sentimento di insofferenza per lo stato di vassallaggio verso il potere yankee, al di là dello stereotipo del grande Paese che ci ha liberato, con il sacrificio dei suoi soldati, dai demoni del nazifascismo e protetto dal totalitarismo sovietico fino al suo crollo improvviso.
Per capire come rispondere all’offensiva di Trump, Macron ha convocato un primo vertice a Parigi il 17 febbraio, mentre domenica 2 marzo Starmer ha chiamato a raccolta a Londra il segretario generale della Nato e i vertici di 16 Paesi, tra cui anche Turchia e Canada, ma senza coinvolgere i piccoli stati baltici che temono di essere le prime prede di un ulteriore avanzata delle truppe di Putin.
Potenze nucleari europee
L’attivismo francese e britannico si fonda sul protagonismo di nazioni dal recente passato da impero coloniale, vittoriose nel 1945 grazie agli Usa, e sull’appartenenza al club dei Paesi detentori dell’arma nucleare nell’ordine di alcune centinaia di ordigni letali considerati ancora da alcuni l’unico fattore deterrente in caso di guerra. Anche l’Italia ospita decine di bombe nucleari di stanza a Brescia e Aviano, ma sono di proprietà degli Usa che hanno anche il controllo tecnologico dei cacciabombardieri F35 in grado di trasportarle sugli obiettivi da colpire.
Come ha detto Trump, gli Stati Uniti hanno «un magnifico oceano» che li pone a migliaia di chilometri dalla possibile linea di fuoco che in caso di conflitto nucleare, secondo la simulazione dell’Università di Princeton, è capace di uccidere 35 milioni di persone dopo poche ore dal lancio delle bombe.
Tempo addietro la rivista Limes ha pubblicato parte degli accordi segreti legati alle basi Usa in Europa dove l’allora presidente Henry Truman, quello che decise di colpire nel 1945 le città di Hiroshima e Nagasaki, affermò esplicitamente che sarebbe stato comunque necessario evacuare per motivi tattici le forze Usa dal vecchio continente in previsione dell’attacco nucleare sovietico.
Nel 2021 il mondo intero è stato testimone del ritiro precipitoso delle truppe occidentali dall’Afghanistan, nonostante l’accordo con i Talebani definito in Qatar, nella prima presidenza Trump, dal segretario di Stato Usa Mike Pompeo e posto in essere dall’amministrazione di Joe Biden, abbandonando quel territorio storicamente segnato dal “grande gioco” del conflitto geopolitico tra Russia e Regno Unito.
La guerra in Afghanistan decisa dagli Usa come risposta all’attacco delle Torri gemelle del 2001, ha provocato centinaia di migliaia di vittime e lo sperpero di 2 mila miliardi di dollari secondo il conteggio della Brown university. Una somma che, spesa in altro modo, avrebbe potuto trasformare quel Paese in una grande Svizzera secondo Gino Strada, il chirurgo italiano che ha curato gratuitamente migliaia di vittime di quel lungo conflitto.
Lo strano show alla Casa Bianca
Il vicepresidente Usa Vance è stato nuovamente protagonista nell’insolito scontro consumatosi il 28 febbraio davanti alla stampa tra Trump e il presidente ucraino Zelensky. L’intero video dura 50 minuti che vanno analizzati integralmente con attenzione. Non si comprende il senso di una conferenza stampa convocata senza aver prima definito alcun accordo tra le parti in merito al controllo e sfruttamento delle risorse minerarie ucraine come garanzia dei crediti Usa e del rapporto tra i due Paesi dopo il cessate il fuoco definito direttamente tra Stati Uniti e Russia.
Dopo l‘iniziale riconoscimento del valore dimostrato dall’esercito ucraino, il confronto si è arenato davanti al dato di fatto che la guerra non può continuare da parte ucraina senza il sostegno che Trump non intende più garantire, in dissenso fortemente polemico con il suo predecessore Joe Biden, accusato di aver fomentato il conflitto in combutta con gli interessi del figlio Hunter. Un’accusa gravissima ma che è stata al centro della recente campagna elettorale dai toni di civil war.
Nel corso del dibattito sempre più acceso, Trump ha evocato lo spettro della terza guerra mondiale addebitandone la responsabilità alle impuntature di Zelenzky, ancora convinto dalle promesse occidentali di arrivare alla vittoria o almeno ad un cessate il fuoco considerato onorevole.
Davanti ad una realtà che appare distopica, con Russia e Usa che hanno votano assieme il 24 febbraio 2025 contro la risoluzione presentata dall’Ucraina all’assemblea generale dell’Onu, la reazione immediata dei Paesi europei che hanno sostenuto convintamente la linea della fermezza statunitense contro Putin, paragonato a Hitler e definito un killer da Biden, è stata quella di continuare il sostegno militare di Kiev.
Un’impresa che appare assai difficile da portare avanti senza le risorse logistiche, infrastrutturali e finanziarie degli Stati Uniti. È stato, ad esempio, l’accesso ai satelliti Star Link di Musk ad offrire un vantaggio strategico all’esercito ucraino.
Di fatto i rappresentanti dei Paesi che si sono incontrati a Parigi e Londra non sono arrivati ancora a maturare scelte condivise, che comunque non potranno chiedere l’unanimità dei consensi ma l’alleanza tra alcuni stati volenterosi su alcuni obiettivi. Meloni per l’Italia ha escluso finora l’intervento di soldati senza copertura Onu.
Piano di riarmo europeo
Si annuncia perciò decisiva la riunione del Consiglio europeo convocato d’urgenza per giovedì 6 marzo. In tale sede verrà presentato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen il piano «di un massiccio aumento della difesa» perché, come detto alla stampa, «senza dubbio vogliamo una pace duratura, ma una pace duratura può essere costruita solo sulla forza e la forza inizia con il rafforzamento di noi stessi».
Come ha scritto sul Corriere della Sera Angelo Panebianco, esponendo il pensiero che sembra finora prevalere politicamente, «in un mondo di lupi trattare diplomaticamente si può e si deve tutte le volte che è possibile farlo, ma solo mettendo sul tavolo un grosso bastone (la forza militare). Altrimenti, la cosiddetta trattativa diplomatica sarà soltanto una diplomatica resa».
«L’Europa riarmata» è uno dei punti discriminanti della maggioranza Ursula che governa l’Unione Europea e che va nella direzione dell’incremento delle spese militari richieste dagli Usa ai Paesi Nato. È già pronta al varo una banca europea appositamente studiata per agevolare il sostegno finanziario dei piani di riarmo. Per l’Italia si tratta di impegnare almeno altri 20 miliardi di euro.
Qualsiasi strategia armata e azione congiunta tra i Paesi europei è destinata comunque a costituire una gamba della Nato che resta, fino al suo improbabile scioglimento, saldamente sotto la guida degli Usa. Lo stesso piano di riarmo, senza la ristrutturazione e unificazione delle imprese europee del settore, dovrà rivolgersi ai grandi fornitori statunitensi.
Dire qualcosa di europeo. Cosa?
Lo sdegno crescente verso Trump, dalla banalizzazione oscena della Striscia di Gaza rimodellata dall’intelligenza artificiale alla percezione dell’umiliazione pubblica di Zelenzki, ha mosso Michele Serra a lanciare l’idea, dalle colonne di Repubblica, di convocare per il 15 marzo una manifestazione all’insegna dell’orgoglio europeo sullo stile del movimento scomparso delle sardine, ripetendo un famoso invito di Nanni Moretti alla sinistra in crisi d’identità: «Dite qualcosa di europeo!».
Per quella data di metà mese sarà più chiaro e definito il piano di riarmo concordato dall’Unione Europea in collaborazione, nonostante la Brexit, con la Gran Bretagna che può garantire storicamente un legame più stretto con gli Usa.
Che contenuto avrà concretamente la manifestazione con l‘insegna della bandiera blu coronata di stelle? Una forma di nuovo interventismo armato di stampo democratico? O la rivendicazione di un ruolo dell’Europa nel segno della Conferenza di Helsinki del 1975?
Da chi verrà gestita? Intanto è già pronta la risposta di alcuni esponenti dei movimenti pacifisti che hanno scritto una lettera pubblica per affermare che «non possiamo scendere in piazza per sostenere un’Unione Europea che si allontana dai suoi valori fondanti e si piega alla logica del riarmo. Abbiamo fortemente creduto negli ideali europei di pace portati avanti da Willy Brandt e Olof Palme. Ideali fatti propri da Enrico Berlinguer. Seminati con la fede di Giorgio La Pira e il coraggio di Sandro Pertini. Ma oggi l’Europa calza l’elmetto per fare quella guerra in cui gli Stati Uniti non credono più».
Molto più pragmaticamente Lucio Caracciolo invita a prendere atto che all’Ucraina serve la pace «alle condizioni meno peggiori possibili e con decenti garanzie di sicurezza per Kiev, scontando che senza americani non se ne farebbe nulla». C’è quindi spazio per proporre una via di uscita tenendo conto che «in fondo, siamo stati l’unico Paese europeo a proporre uno schema di soluzione negoziale della guerra un mese dopo che era scoppiata», secondo il modello previsto per l’Alto Adige (proposta poi fatta fallire).
Se la finalità è quella di evitare ulteriori morti e inutili stragi, secondo Massimo Cacciari, ad esempio, il governo Meloni può far da ponte con Trump per abbassare i toni e «neutralizzare la retorica bellicista di chi vuole partire e fare la guerra insieme all’Ucraina».
Nathalie Tocci direttrice dello IAI ritiene invece solo un illusione «pensare che sia ancora possibile una strategia transatlantica sulla sicurezza europea», dato che Trump vuole solo «distruggere quelle istituzioni comuni come Ue e Nato», e quindi l’Unione europea dovrebbe scrollarsi di dosso la mentalità di essere una colonia Usa per investire nel riarmo e fare «un salto quantico sulla difesa europea per poterci difendere dalla Russia, ma senza gli Stati Uniti». Anche in caso di tregua in Ucraina servirebbe una forza europea per evitare che tale pausa dal conflitto non sia funzionale al tempo necessario a Putin «per preparare il nuovo round di guerra».