Sconosciuti invisibili uomini

Quarant’anni in mare sono lunghi. Solo quando sei vecchio e in pensione, ti accorgi che sono passati in un attimo

Navigavo dall’età di 14 anni, da mozzo, su un motoveliero con lo scafo in legno. Percorrevo la tratta Milazzo-Tripoli. Erano tempi in cui si navigava a vela e a motore quando c’era bonaccia. Tante volte ci siamo trovati in mezzo a dei temporali. La paura era tanta.

Una volta al nostromo, definito dalla dicitura marinara in questo modo, «uomo rozzo e ignorante che conduce la ciurma a lavorare», ho fatto una domanda: «Ma qui nessuno prega?». Con un sorriso mi disse che «il marittimo prega, ma tu non lo senti perché sei ancora mozzo e giovane, lo sentirai quando sarai marinaio». Nella mia vita in mare, ho girato mezzo mondo visitando città, culture e lingue diverse, senza alcun pensiero perché da giovane pensi solo a divertirti. Ma quando ti crei una famiglia, allora sono dolori. Alla sera, quando vai in cuccetta a riposare, ti vengono mille pensieri in testa e non si riesce a prendere sonno. I bambini che fanno? Mia moglie come sta? Stanno bene? Il marittimo, così come la moglie, non si dicono mai la verità, anche se c’è qualcosa che non va. Lo si fa per non creare apprensione. Solo quando si arriva al primo porto, si corre per telefonare a casa facendo una lunga fila nelle cabine. E anche se qualcuno stesse male, non si dice. Certe volte sono bugie necessarie dette a fin di bene. Quando poi il marittimo sbarca, resta quasi tutto il tempo in famiglia, una cosa bellissima, sia per lui, che per tutti, anche se rimane sempre con un piede dentro e uno fuori di casa, con la valigia sempre pronta per partire, perché il telegramma può arrivare da un momento all’altro.

Il marittimo vive l’80% della sua vita con la famiglia del mare, naviganti come lui, di varie nazionalità, come se fosse un marito che sposa due donne, con una sta all’80% e con l’altra al 20%. Quell’uomo non farà mai parte integrante della famiglia del 20% anche se quando è a casa la moglie gli racconta tutto.

Il mestiere di padre è difficile per un marittimo. I miei figli sono stati cresciuti, seguiti, educati dalla madre. Il padre non è presente quando il figlio va al primo giorno di scuola, quando ha la febbre, nei compleanni, negli onomastici, a Natale, a Pasqua. È la mamma che lo porta a scuola, lo aspetta all’uscita, gli racconta le storielle di cui gli parla il padre, che presto tornerà a casa con tanti giocattoli, e per provvedere a tutti i bisogni della famiglia. Anche quando la moglie partorisce, non è presente, quando bisogna educare e indirizzare i figli nel momento della loro adolescenza, nell’inserimento della loro vita del lavoro. Il pensiero del marittimo è che un giorno, quando questo “lavoro-calvario” finirà, andando in pensione, potrà godersi la famiglia. Una volta in pensione, inizia un’altra vita, e nei primi tempi a casa si ci sente come un adottato, un intruso e quando vorresti entrare nei discorsi della famiglia, nei problemi, non sai cosa fare, pensi di trovare la famiglia unita, ma non è così.

Ora che sono in pensione, sono solo un numero Inps e non si può tornare indietro, solo con il tempo e con l’aiuto della famiglia “rientrerò” veramente a casa definitivamente, con tutti e due i piedi dentro. Spero di tornare di nuovo a conversare con i miei familiari. Questo è peggio di affrontare un temporale, perché la vita in mare ha cancellato il dialogo e i nostri sentimenti li teniamo conservati in un angolo del nostro cuore. Non diciamo certe cose perché il mare ci ha induriti l’animo di acqua salata. Qualcuno dice che il marittimo è un uomo senza Dio! Non è vero, io, quando sono diventato marinaio, come mi diceva il vecchio nostromo, ho sentito la sera a bordo pregare, non con la voce, ma con tutta l’anima del cuore. Li sentivi pregare Dio, la Madonna, i santi, per i loro cari, nelle loro cabine. Qualcuno piangeva, anch’io, come loro, mi commuovevo mettendomi a piangere e a pregare. Questo è il vero marittimo, “invisibile sconosciuto uomo”.

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