Sciopero dei medici indiani per l’omicidio di una collega
Nonostante, nel giro di poche ore, ci sia stato l’arresto di una persona, la reazione a questo nuovo caso di violenza efferata – si tratta di eventi tutt’altro che rari all’interno degli ospedali indiani – ha messo in moto una reazione generale dei medici di tutto il Paese. I camici bianchi hanno indetto uno sciopero generale in tutta l’India, con una partecipazione difficilmente calcolabile in termini percentuali, ma comunque altissima, tenendo conto delle notizie che sono arrivate dai vari distretti. Gli ospedali hanno assicurato solo l’assistenza necessaria ai casi particolarmente gravi, quelli che in Italia definiamo come codice rosso.
A fermare la protesta non è valsa neppure la reazione della Primo Ministro dello stato del Bengala, l’on. Mamata Banerjee, soprannominata “la tigre del Bengala” per la sua forza e impegno nel campo della giustizia e contro la corruzione politica. Banerjee è arrivata a affermare che un delitto di questo tipo meriterebbe la pena di morte, qualora si provasse la colpevolezza di chi lo ha perpetrato. Ma la levata generale dei medici, e anche di buona parte del personale paramedico, non si è fatta né intimidire né scoraggiare. Infatti, lo sciopero è stato accompagnato da dimostrazioni di massa (non solo di medici) in tutte le più grandi città del Paese, caratterizzati anche da momenti di tensione e accenni di scontri con le forze dell’ordine.
I particolari emersi dall’autopsia sono agghiaccianti e la Polizia locale ha immediatamente costituito un team investigativo per andare a fondo su questo orrendo caso che si aggiunge a una lunga lista di violenze sulle donne in generale, e negli ospedali in particolare. Alcuni anni fa, a causa di diverse violenze subite da giovani e meno giovani a Mumbai, Delhi e in diverse parti dell’India, scoppiò quasi una insurrezione generale contro la violenza nei confronti delle donne.
Nei cortei di questi giorni si sono osservati anche numeri impressionanti di manifestanti uomini, a conferma che, sebbene ancora maschilista e patriarcale, la società indiana vuole dimostrare di avere una sensibilità per la donna e per il suo ruolo all’interno della famiglia e della società. Si tratta di una delle grandi contraddizioni che la cultura e la storia indiana continuano a tramandare da secoli.
In un mondo come quello del sub-continente, dove la vita politica è stata guidata per anni da donne (Indira Gandhi, Sonia Gandhi, Benazir Bhutto, Sheikh Hasina, da poche settimane costretta a dimettersi in Bangladesh dopo più di un decennio di potere incontrastato) e dove oggi alcune donne, fra le quali la Primo Ministro bengalese, continuano ad avere un ruolo politico di primo piano, permangono violenze quotidiane che spesso sfuggono all’attenzione dei media. O, il più delle volte, vengono taciute.
Da anni, nel caso specifico, le dottoresse, soprattutto le più giovani, ma non solo, lamentano i pericoli a cui vanno incontro all’interno degli ospedali, nei reparti di Pronto Soccorso, soprattutto durante le ore dei turni notturni. Ci sono stati casi di violenza perpetrati da parte di colleghi, di ricoverati o di personale paramedico.
Fra l’altro non pochi di questi casi sono legati anche alla condizione sociale, come dimostra l’alto numero di casi di violenza che continua ad avvenire nei confronti di donne di origine tribale (le cosiddette adivasi), anche se inserite in professioni di prestigio, e dalit (fuori casta). Entrambi questi stati sociali, infatti, rimangono ancora come uno stigma doloroso in tutto il Paese, nonostante l’India sia oggi uno dei Paesi all’avanguardia nel panorama della globalizzazione.
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