Scioperi dei lavoratori tessili in Bangladesh
Da sabato scorso le autorità del Bangladesh hanno ordinato la chiusura temporanea di circa 300 fabbriche tessili. La decisione è stata presa dopo che circa cinquantamila lavoratori impiegati in questo settore si sono riversati nelle strade per chiedere un aumento dei salari.
I sobborghi della capitale, Dhaka, hanno visto un fiume di uomini e donne sfilare per le vie della periferia, con manifestazioni decise che hanno bloccato il traffico, danneggiato alcun veicoli nelle vicinanze, otre a negozi e uffici delle banche della zona. Da mesi i lavoratori del settore tessile, fortemente sfruttato dalle multinazionali straniere che costringono a ritmi di lavoro inumani, hanno chiesto un aumento deciso dei loro stipendi che si aggirano attualmente attorno alle 8,114 takas (la moneta locale) pari a circa 75 euro. A fronte di questo, i proprietari delle varie aziende hanno proposto un tetto del 20 per cento per l’aumento, sostenendo che la situazione economica non permette di più.
Dopo la Cina, il Bangladesh è il secondo esportatore di vestiti al mondo e l'industria tessile rappresenta oltre il 10 per cento del Pil nazionale. Il Paese conta circa quattromila cinquecento fabbriche in questo settore. Queste manifestazioni non rappresentano una novità. Già nel 2006 e nel 2010 la richiesta popolare creò tensioni che sfociarono in scontri con la polizia. Molte furono le vittime di quegli incidenti e molti stabilimenti furono seriamente danneggiati.
La tensione attuale è l’onda lunga della tragedia del Rana Plaza, l’edificio che ospitava migliaia di lavoratori in condizioni di schiavitù. Nell’aprile scorso un incendio portò alla morte di più di mille persone. Gli operai del settore vengono spesso trattati alla stregua di schiavi e costretti a lavorare in condizioni di scarsa sicurezza: migliaia di persone stipate su un unico piano, per almeno 12 ore al giorno. A volte i datori di lavoro possono decidere di sospendere il giorno libero settimanale, se si sono avute troppe ferie.