Sciogliere una Camera o due?

Sull’ipotesi di voto solo per la Camera dei deputati abbiamo intervistato  Luigi Arcidiacono, ordinario di diritto costituzionale all’università di Catania. «Nella Costituzione ci sono norme da rottamare»
Parlamento italiano

Le dimissioni dei ministri di Futuro e Libertà hanno ufficialmente aperto la crisi politica. Il presidente della Repubblica Napolitano ha fissato per il 14 dicembre la richiesta della fiducia alle Camere. Il premier Berlusconi è sicuro dell’appoggio al Senato, non altrettanto alla Camera dei deputati. Si ventilano elezioni anticipate ma per una sola delle due Camere, dove non esisterà più una maggioranza a sostegno dell’operato del Governo.

Abbiamo chiesto al professor Luigi Arcidiacono, ordinario di diritto costituzionale all’università di Catania di spiegarci meglio gli scenari che si apriranno dopo il 14 dicembre.

Professore Arcidiacono è realmente possibile sciogliere una sola Camera?

«La Costituzione all’art 88 prevede lo scioglimento di entrambe le camere o di una sola. Devo precisare che quella norma fu varata in relazione all’articolo 70 che specificava la differenza di durata tra Camera e Senato,  cinque anni per la prima e sei per la seconda. Nella storia della nostra Repubblica per due volte consecutive fu sciolto il Senato, si parlò di scioglimento tecnico, in realtà fu De Gasperi  d’accordo con Togliatti a chiederlo nel ’53 ad Einaudi, e nel ‘58 a Gronchi. La disposizione venne pensata dai costituenti per sciogliere la Camera meno rappresentativa qualora nelle due Assemblee si fossero verificate maggioranze diverse. Questa norma da noi costituzionalisti, comunque, è ritenuta un rottame non più utilizzabile dopo l’allineamento delle due legislature di Camera e Senato, entrambe della durata di cinque anni».  

 Ma che scenari si aprirebbero se questo dovesse accadere?

«Dobbiamo tener conto che nel sistema maggioritario con un solo voto il corpo elettorale da tre indicazioni, cioè sceglie la maggioranza, il Governo e il Premier. In questo momento visto che si rischia di avere maggioranze differenti nelle due assemblee, andrebbe sciolta la Camera e non tanto il Senato fedele alla scelta del corpo elettorale e ancora rappresentativo di esso».

Molti sostengono che votare con questa legge elettorale continuerà a non garantire stabilità…

«La stabilità la garantisce il buon senso degli eletti e non tanto la legge elettorale, e invece si assiste a tradimenti costanti anche sui valori professati magari fino a qualche giorno prima. Il sistema maggioritario è stato introdotto proprio a seguito dei continui cambiamenti d’umore dei deputati. Si è scelto allora, di assicurare maggiore fedeltà facendo esprimere in maniera diretta i partiti politici.Le preferenze poi furono eliminate perché si era scoperto un certo inquinamento, anche in relazione alla mafia. La lotta interna ai partiti è stata talmente dura, che chi voleva essere eletto, pur di catturare voti, era disposto a tutto. L’opposizione ventila un ritorno al proporzionale e si scandalizza del maggioritario, ma vorrei ricordare anche a loro, che un tempo il vecchio PCI chiedeva agli elettori di votare il partito e non tanto di esprimere le preferenze perché i seggi assegnati sarebbero stati occupati secondo l’ordine espresso in lista. Quindi niente di nuovo».

 Ma la Costituzione almeno può garantirci una certa stabilità?

«Alcuni punti della Costituzioni potrebbero esser cambiati. La vecchia signora manifesta logoramenti e stanchezze. Spesso viene difesa da chi la interpreta liberamente e con poche restrizioni. In realtà la Corte costituzionale sta facendo, a mio parere, dei danni perché di fatto ne sta riscrivendo dei pezzi: basta pensare alla legge Englaro, alla legge 40, all’ammissibilità dei referendum. La corte non è controllata e non è controllabile, ma in tanti momenti diventa l’unica oppositrice al Governo e controlla in qualche modo il Parlamento. Ecco questo, secondo me, sarebbe un punto da focalizzare».  

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