Scene da condominio

Quando essere "vicini" di casa vuol dire tessere rapporti e condividere  piccoli e grandi momentiUna storia raccolta da Chiara Favotti nel libro Una buona notizia per Città Nuova al primo appuntamento della rubrica
Una notizia per te

Dai quattro angoli del mondo arrivano tante storie di Vangelo vissuto. Ci sono giovani protagonisti, ma anche sacerdoti, famiglie e anziani che non si arrendono quando le cose si fanno difficili e non chiudono il cuore all'altro quando soffre, anzi. In vista dell'apertura l'11 ottobre dell'Anno della fede indetto da papa Benedetto XVI, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, Città Nuova editrice vuole proporre testimonianze che mostrino la semplicità e la radicalità della Parola che si fa quotidiano, vita, speranza.  Queste storie, novantaquattro in totale, le ha raccolte, per Città Nuova, Chiara Favotti nel libro novità Una buona notizia.

Cominciamo a raccontarvene una su un condominio proprio speciale e vi diamo appuntamento per le prossime settimane per le altre puntate. 

«Abitiamo da quindici anni in un condominio. Quattro scale, centoventi appartamenti. Appena sposati, desidera­vamo impostare rapporti di buon vicinato e magari anche trasmettere con gioia il nostro stile di vita, improntato sul Vangelo vissuto. Ma, lavorando tutto il giorno, non riusci­vamo nemmeno a vederli, i nostri vicini. Dopo la nascita dei bambini, abbiamo conosciuto altri genitori con i loro figli al parco o nel cortile condominiale. È nata l’idea di invitare qualcuno di loro a cena, cui sono seguite altre oc­casioni di festa e scampagnate. L’atmosfera condominiale finalmente cominciava ad acquistare un certo calore.

«Alle volte i rapporti decollano quando, superato il naturale ri­serbo, non solo si cerca di dare, ma si trova anche il coraggio di chiedere. Marco un giorno stava passando dei cavi nel nostro appartamento, ma si accorge che da solo non ce l’avrebbe fatta. Con un po’ di umiltà chiede aiuto al di­rimpettaio, che accorre con gentilezza inaspettata.
Un sabato di agosto particolarmente torrido e afoso rien­triamo a mezzanotte. I bambini addormentati sono a peso morto tra le nostre braccia. Davanti alla luce rossa dell’a­scensore due coppie sono già in attesa. Non sembrano avere la minima intenzione di lasciar salire prima noi, no­nostante il “carico”. Con loro c’erano state discussioni, cir­ca l’inopportunità – a detta loro – di far giocare i bambini – i nostri – nel cortile condominiale. Entrano nell’ascenso­re. Mentre aspettiamo di salire a nostra volta, l’ascensore si blocca e suona l’allarme. La scala è praticamente deser­ta, con questo caldo sono tutti fuori città. Che fare? Chia­mare i vigili del fuoco o l’assistenza, e poi portare a letto i bambini e stare tranquilli? In fondo non ci hanno trattato molto bene. Però l’aria starà diventando infuocata dentro la cabina dell’ascensore… Marco corre nel locale del mo­tore e con molta fatica riporta l’ascensore al piano, liberando i malcapitati.

«Una sera siamo a cena fuori con dei nostri vicini. A un certo punto i loro genitori, pure nostri condomini, li chiamano per avvertirli che dal loro appartamento sta uscendo ac­qua. Ci precipitiamo tutti a casa. Lo sportello della lavatri­ce si era aperto e l’acqua continuava a caricare all’infini­to. Risultato: due centimetri di acqua dappertutto, senza contare quella che stava defluendo giù per le scale dalla porta d’ingresso. La situazione appariva tragica pensando ai possibili danni per i vicini del piano di sotto, che aveva­no appena messo il parquet. Ci offriamo di far dormire da noi i bambini. Gli uomini cominciano a spingere l’acqua fuori dal balcone, le donne a raccoglierla nei secchi con gli stracci. Il peggio è evitato, per fortuna.

«Una sera, mentre riordino il salone, sentiamo urla terribili provenire dal piano di sotto. Sulle prime pensiamo di non immischiarci. Ma poi Marco scende. La porta dell’appar­tamento è spalancata. Marco con trepidazione entra. Il figlio di 18 anni è trattenuto a terra da due condomini. Il padre barcolla, con lo sguardo perso nel vuoto. La ma­dre si dispera e tra i singhiozzi dice che il ragazzo voleva gettarsi dal balcone. Un altro vicino si tampona la faccia perché aveva ricevuto un pugno dal ragazzo, che nel frat­tempo continua a sussultare e a imprecare con gli occhi sbarrati e la bava alla bocca. Aiutiamo come possiamo, soprattutto consolando i genitori e aspettando insieme l’ambulanza che avrebbe portato il ragazzo all’ospedale, in overdose di cannabis.
Anche questo può accadere in un condominio». 

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