Scala verso il cielo

In occasione della Settimana Santa, periodo “forte” dell’anno liturgico per tutti i cristiani, facciamo visita ad un luogo emblematico di Roma che rievoca i dolori della passione di Cristo
Roma

Cospicue sono le testimonianze della passione di Gesù rintracciabili a Roma. In primo luogo – come illustrato in un precedente itinerario – nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, non lontano da quella Lateranense, dove in sei preziosi reliquari sono custoditi alcuni frammenti della croce, del titulus (la tavoletta dell’I.N.R.I.) e altro ancora. A sua volta la basilica di Santa Prassede, sull’Esquilino, conserva una colonnina di foggia particolare: la stessa, si tramanda, a cui venne legato Gesù per subire la flagellazione

Forse però il più frequentato luogo di culto legato alle sofferenze di Cristo – sul quale vorrei soffermarmi ora –  è il santuario della Scala Santa, nelle immediate adiacenze della basilica di San Giovanni in Laterano. A dire il vero, appena si entra nell’atrio di questo complesso edilizio fatto edificare da papa Sisto V come nuovo “Patriarchìo” del vescovo di Roma (è possibile visitarne i resti nei sotterranei), ci si trova davanti a cinque scale che conducono alle cappelle del piano superiore, ma solo quella di centro è detta propriamente “santa”: la tradizione, infatti, ha voluto ravvisare in essa la scala del pretorio di Ponzio Pilato discesa da Gesù percosso e sanguinante nel giorno della sua condanna a morte.

Trasportata a Roma nel 326 da Elena, la madre di Costantino, dal Palazzo del Laterano dove si trovava inizialmente traslocò nell’attuale edificio eretto nel 1589 da Domenico Fontana. È composta di ventotto gradini di marmo che nel 1723, per volontà di papa Innocenzo VIII, furono ricoperti con tavole di legno di noce per impedirne l’usura, tale era – ed è tuttora – l’afflusso quotidiano di penitenti che, in silenziosa preghiera, li salgono in ginocchio. E non si tratta solo di persone d’una certa età: anche numerosi giovani si sottopongono a questa pratica che si direbbe d’altri tempi.

Che sia davvero “quella” scala, nessuno potrà mai affermarlo con sicurezza. Del resto, quando si tratta di reliquie, più che l’accertata autenticità, importa il loro essere preziosi strumenti di catechesi, segni di un fatto certo, la cui venerazione può aiutare la meditazione sulle sofferenze che esse ricordano e riproporre il valore salvifico della Croce. Non a caso, sono custodi della Scala Santa dal 1854, sotto il pontificato di Pio IX, quei Padri Passionisti il cui carisma ha un particolare collegamento con i patimenti di Cristo. Qui, fra l’altro, sono oggetto di venerazione le spoglie di uno di loro: il famoso esorcista padre Candido Amantini, di cui è in corso il processo di beatificazione.

Santuario atipico (non si presenta all’esterno come chiesa, anche se al piano superiore hanno luogo le celebrazioni liturgiche), quello della Scala Santa è  un vero scrigno di arte: basti pensare anzitutto al Sancta Sanctorum di San Lorenzo in Palatio, che fu la cappella  privata del papa fino agli inizi del XIV secolo: ricca di magnifici marmi, mosaici e affreschi del XIII secolo, vi troneggia la pala d’altare raffigurante il volto di Cristo nota come l’Acheropìta lateranense, ossia “non dipinta da mano d’uomo”. Ma v’è altro ancora: dai restauri in corso sta ritrovando il primitivo splendore la decorazione tardo-cinquecentesca realizzata sotto la guida di Cesare Nebbia e Giovanni Guerra: affreschi già resi illeggibili in molte zone dal nerofumo delle candele, dalle ridipinture e da precedenti restauri. Tra le parti recuperate, notevoli sono i dipinti del fiammingo Paul Brill, che qui fece parte del folto gruppo di artisti e contribuì ad introdurre nella cultura pittorica romana dell'epoca il genere della pittura di paesaggio in ambiente sacro.

Una curiosità: sparse nel mondo, esistono altre “Scale Sante” (una decina), ovvero riproduzioni spesso in formato ridotto della prima, poste all’interno di chiese o santuari a uso di pellegrini e penitenti. Una di esse l’ho visitata tempo fa a Veroli, dietro indicazione dell’amico Danilo, nativo di questa cittadina laziale: fu fatta costruire dal vescovo verolano mons. Lorenzo Tartagni tra il 1715 e il 1740 ed è composta da dodici gradini di marmo (nell’undicesimo è racchiusa una presunta reliquia della croce).

Ma torniamo a Roma, città di altri celebri scalinate come quella di Trinità dei Monti. Non sarà “santa” come la Lateranense, ma anche quella che si apre in vertiginosa discesa davanti alla basilica dell’Ara Coeli, stretta tra il Campidoglio e il Vittoriano, era ritenuta, almeno in passato, adatta ad ascensioni penitenziali, preferibilmente notturne. Fu costruita nel 1348 per volontà popolare, in ringraziamento per la fine di una pestilenza, e a giudicare dal numero dei gradini, 124, doveva essere prescelta da persone che intendevano sottoporsi a penitenza più aspra che non alla Scala Santa o avevano bisogno di grazie speciali. Io stesso anni fa, passando lì accanto a tarda sera, fui testimone di un’insolita scena: in ginocchio sulla gradinata, in quell’ora deserta di turisti, pian piano una signora era intenta all’ardua salita.

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