Sblocco dei licenziamenti e rischio tenuta democratica
Licenziamenti. A partire dal primo luglio 2021 si attendono gli effetti del compromesso strappato dal ministro del Lavoro Andrea Orlando dopo lunghe trattative interne al governo Draghi: viene meno il blocco dei licenziamenti per motivi economici (giustificato motivo oggettivo) relativamente al settore manifatturiero e dell’edilizia, ma nel decreto sostegni bis è prevista una norma che offre alle imprese la possibilità di ricorrere alla cassa integrazione con agevolazioni tali da renderla più vantaggiosa rispetto alla cessazione dei rapporti di lavoro.
La normativa è in realtà molto più complessa, con una serie di casistiche che si possono approfondire grazie ai contributi competenti come quello di Eufranio Massi sul sito della Direzione provinciale del Lavoro di Modena.
Quello che emerge, ad ogni modo, è la forte pressione esercitata da più parti per rimuovere alcuni vincoli al mondo del lavoro che non hanno impedito comunque la perdita, durante il primo anno di pandemia, di almeno un milione di occupati. La stessa Commissione europea ha censurato l’Italia per una normativa che esisterebbe solo da noi e che proteggerebbe solo i lavoratori più stabili rispetto alla grande categoria degli esclusi.
È emblematico in tal senso il pensiero di Michel Martone, giuslavorista già viceministro del Lavoro nel governo Monti, secondo il quale finora si è impedito alla società presenti in Italia di procedere alla «riorganizzazione industriale su larga scala che è la base per vincere la competizione internazionale» violando la libertà d’impresa prevista in Costituzione. Sulla stessa linea l’ex presidente dell’Inps, Tito Boeri, e ovviamente Confindustria che ha criticato la “scorrettezza” del ministro Orlando nel momento in cui ha cercato di prolungare il blocco dei licenziamenti almeno al 28 agosto.
Per Maurizio Stirpe, vice presidente dell’associazione degli industriali con delega alle relazioni sindacali, non esiste il pericolo dello scatenarsi di un’ondata di licenziamenti: «Non è questa la percezione che abbiamo e non ci sono elementi oggettivi per avallare questa impressione». A suo parere, il governo dovrebbe dare risposte “alla rigidità in entrata”, cioè rimuovendo i vincoli ai contratti a termine e al lavoro in somministrazione introdotte dal Decreto dignità del 2018. Non è un mistero la forte contrarietà espressa in più occasioni dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi verso il governo Conte 2, al contrario della fiducia e apprezzamento nei confronti dell’esecutivo Draghi.
Si presenta più realistica l’analisi, espressa nelle considerazioni finali, del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, a proposito degli effetti destinati a esplodere nell’economia italiana, con la cessazione «del blocco dei licenziamenti, delle garanzie dello Stato sui prestiti e delle moratorie sui debiti» assieme alle politiche necessarie per ridurre «gradualmente ma con continuità, il fardello del debito pubblico sull’economia» accumulato con la pandemia.
Il primo scaglione dello sblocco dei licenziamenti avverrà mentre sono ancora in fase di elaborazione la riforma degli ammortizzatori sociali e quelle sulle politiche attive del lavoro. Un quadro complessivo è atteso entro luglio 2021 ma l’applicazione richiederà del tempo prima di entrare a regime. L’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, è commissariata e il sistema del collocamento pubblico deve essere ancora ristrutturato e rifinanziato. Per “liberare” il lavoro, come dicono alcuni per intendere la facilità di procedere al licenziamento di una persona, occorre almeno un servizio efficiente di ricollocazione degli esuberi secondo la logica definita “naturale” del mercato.
Parte da questa constatazione la richiesta dei sindacati confederali (Cgil, Cisl e Uil) di arrivare ad una «moratoria sui licenziamenti almeno fino al 31 ottobre». Hanno perciò promosso una manifestazione nazionale nella giornata di sabato 26 giugno, in prossimità del primo luglio, con comizi a Torino, Firenze e Bari.
Quello che più conta poi è che i sindacati contestano la mancanza di «adeguate politiche industriali capaci di valorizzare a pieno gli investimenti e i contenuti del PNRR» non ritenendo più valida la mediazione assicurata da Mario Draghi. Una considerazione non marginale che si accompagna alle critiche serrate verso la scelta, da parte del presidente del Consiglio, di circondarsi di consulenti e tecnici provenienti prevalentemente dalle scuole di pensiero liberista.
Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, parla apertamente di «un’Italia dove domina lo sfruttamento del lavoro e un modello di sviluppo basato sugli interessi del profitto». Una condizione che «mette a rischio la tenuta della democrazia». Affermazioni considerate troppo pesanti e ideologiche dalla stampa di centro destra, tanto che Il Giornale vi ravvisa dei toni pericolosamente eversivi che rimandano ad anni bui per il nostro Paese.
In realtà bisogna riconoscere che il mondo dei lavoratori si trova in un momento di grave crisi interna come è emerso con la tragedia del sindacalista Adil Belakhdim, ucciso durante un picchetto organizzato in una vertenza nel settore della logistica che vede duramente contrapposti il sindacato Si.Cobas contro le storiche sigle confederali. Esemplare in questo senso la vertenza relativa alla multinazionale FedEx, ben presente nella pubblicità durante gli europei di calcio, dove si è registrato lo scontro più duro tra Cgil e Si.Cobas in un settore, quello sempre più importante nella movimentazione delle merci, dove non si riesce a stroncare la prassi dell’affidamento dei lavori in sub appalto a società spurie e false cooperative. Parliamo di persone che rientrano teoricamente nel numero degli occupati ma in maniera precaria e sottopagata.
Bisogna capire se l’emozione sincera per la morte di Adil si tramuterà in nuove forme di unità tra i lavoratori oppure attizzerà la contrapposizione in un quadro che si presenta molto diversificato.
L’ottimismo di Confindustria sulla stabilità dell’occupazione si può forse spiegare, ad esempio, per il caso del distretto delle piastrelle di Sassuolo che Mario Draghi ha recentemente visitato come esempio virtuoso di una realtà che, tra Modena e Reggio Emilia, coinvolge 135 aziende con quasi 20mila occupati: 5,34 miliardi di euro di fatturato all’anno, in gran parte orientato all’ export (4,5 miliardi di euro) e in crescita del 19% nei primi tre mesi del 2021.
Altro discorso vale per l’Embraco di Torino, la Whirlpool di Napoli e l’Acc Wanbao Mel di Belluno, dove si annuncia la chiusura nonostante la loro appartenenza al settore degli elettrodomestici dichiarato in crescita a livello mondiale. Lo stesso dicasi per casi meno noti come la Elica, società multinazionale, che ha deciso di delocalizzare la produzione in Polonia e chiudere la fabbrica di cappe aspiranti con la messa in mobilità di 400 lavoratori a Fabriano, nelle Marche.
Il rischio di tenuta della democrazia non appare, quindi, remoto. Dal primo luglio si aprono delle sfide decisive per un Paese impegnato ad attuare il Piano nazionale di ripresa e resilienza secondo il cronoprogramma recente approvato in grande stile dalla von der Leyen e Draghi nello scenario degli studi cinematografici di Cinecittà.
Per il 7 luglio è previsto l’incontro del ministro del Lavoro Orlando con i presidenti delle Regioni per mettere a punto un piano per riqualificare ben 3 milioni di persone considerate vulnerabili grazie a 9 miliardi di euro disponibili tra Pnrr e risorse interne. Un compito titanico per una vera grande opera strategica.