Saviano e D’Avenia, tra disperazione e fragilità
Cos’hanno in comune il nuovo romanzo di Roberto Saviano, La paranza dei bambini, e il recente libro di Alessandro D’Avenia, L’arte di essere fragili? Che sono due testi ben in vista nelle librerie più note, si potrebbe rispondere, e nient’altro. Feltrinelli uno e Mondadori l’altro, si godono il mercato dall’autunno scorso.
Eppure c’è qualcosa, nel loro stordente contrasto, nella profonda diversità dei loro contenuti, che potrebbe porli in una sorta di dialogo ideale: la grazia del secondo, che non è un romanzo e non è un saggio, potrebbe in qualche modo soccorrere la disperazione folle, cieca e realistica del primo, che è romanzo a tutto tondo. Saviano torna a Napoli, stavolta nel quartiere Forcella, e inventa nomi e fatti, ma le sue parole potenti e durissime potrebbero seguire l’identica didascalia che apriva il film Le mani sulla città di Francesco Rosi, anno 1963: «I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce».
Quella realtà è una certa Napoli, purtroppo, che la cronaca recente ci dimostra esistere ancora, al di là di altri numeri che parlano di una città ripulita in cui i turisti aumentano. In questa realtà difficile nuotano due pugni di adolescenti che vogliono farsi strada nella cultura criminale partenopea, giovanissimi che vogliono carriera, denaro e potere e li vogliono subito, senza gavetta, senza aspettare un minuto. A tutto sono disposti, il protagonista soprattutto, un certo Nicolas Fiorillo, detto ’O Maraja. Pronti a sparare, uccidere, veder morire amici e fratelli.
Nicolas è intelligente, acuto, pure talentuoso nello scrivere. Apprezza Machiavelli: Il principe è un suo punto di riferimento letterario. L’unico. Non ha nessuna tradizione camorristica alle spalle: suo padre insegna educazione fisica e sua madre ha un buco di sartoria in un rivolo della città. Non è nato condannato alla povertà, né è segnato da un destino tragico. Potrebbe fare un sacco di cose, potrebbe scegliere, e invece si lascia mangiare dall’idolo del comando, dalla febbre di diventare capo, boss, in un contesto dove esserlo significa pagare un prezzo altissimo. Un prezzo assurdo. Un prezzo insensato.
Né Nicolas né i suoi compagni/soldati, nessuno sopra i vent’anni, comprendono quanta bellezza ci sia davanti ai loro occhi, quante strade esistano anche nel loro quartiere complicato. Non vedono quale schifezza di vita conducano i leader che vorrebbero scalzare: tutti braccati, diffidenti, animali tesi e guardinghi. In nome di che cosa, per quale obiettivo vivono così? Che felicità abita in loro? Nessuna, ci dice Saviano. Il potere logora chi ce l’ha, se non altro quel tipo di potere, criminale. È una strada senza uscita, un equivoco gigantesco. Fatto anche di un’ignoranza espansa che allaga anche le nuove generazioni, vestite Nike, imbottite di serie tv e di You Tube. Una povertà di strumenti utili che li porta ad avere seri “problemi di vista”. I “bambini” del romanzo di Saviano sono ossessionati dalla forza, terrorizzati dall’idea di mostrarsi deboli, anche solo vagamente. Ecco allora che la lettura fortemente disturbante delle loro imprese, all’interno di un romanzo ottimamente scritto, fa venire in mente un libro- quello di D’Avenia – che invece elogia la fragilità già nel titolo, e che pone il “povero” Giacomo Leopardi come modello da opporre al determinatissimo camorrista ’O Maraja.
Una fragilità che nutre, che una volta palesata e ammessa, serenamente vissuta, libera l’anima e lo sguardo. È come se il libro di D’Avenia, quasi un dialogo virtuale tra lo scrittore e il grande poeta di Recanati – volesse svelare a quei violenti e disgraziati ragazzi di Forcella, altre strade per sentirsi bene. Più piccole, tortuose, faticose, lunghe, complesse, ma con meravigliosi sbocchi su paesaggi umani mozzafiato. È come se volesse dire loro che la felicità non ha nulla a che fare col denaro e col potere, ma con lo sguardo, con la comprensione di ciò che accade intorno. Che la felicità è arte delicata, paziente, che la forza di cui necessità per compiersi è diversa da quella immaginata dalla Paranza dei bambini.