Sarri, Mancini e le regole del campo
Crocifisso in sala mensa… pardon, in sala stampa o giù di lì. Il mostro sbattuto in prima pagina è Maurizio Sarri da Napoli, luogo di nascita e ora piazza focosa della sua professione di allenatore, uomo verace cresciuto da operai toscani e catapultato da pochi mesi nell’agone mediatico che caratterizza l’Italia del calcio. La sua colpa? Aver dato dell'omosessuale a Roberto Mancini alla fine di Napoli-Inter del 19 gennaio scorso, partita di scena per i quarti di finale di Coppa Italia, vinta per 2-0 dalla compagine milanese. L’accusa arriva a caldo nel dopopartita dallo stesso Mancini, allenatore dei vincitori, chiamato a motivare l’espulsione rimediata a fine gara per un palese battibecco con il tecnico del Napoli.
“Sarri è un razzista. Ha 60 anni, non deve stare nel mondo del calcio, è una vergogna! Negli spogliatoi sono andato a cercarlo. Mi ha chiesto scusa e gli ho detto che non me ne facevo nulla delle scuse e che si doveva vergognare. In Inghilterra non avrebbe più messo piede in campo”, ha rincarato la dose Mancini, cui il tecnico napoletano ha replicato: “Mi ero innervosito con l'arbitro, sono cose da campo che dovrebbero finire lì, come insegnano i vecchi: ci si dà la mano e finisce tutto. Classiche litigate da campo, non mi sono accorto di avergli detto qualcosa, non mi ricordo neanche cosa gli ho detto, mi aspetto che anche lui si scusi, da uomini di sport dovrebbe finire tutto lì. Era un insulto di rabbia senza secondo fine, non era omofobo, non ce l’ho con Mancini. Ripeto, ero nervoso e mi è scappata una parola di troppo, perché l'espulsione di Mertens è stata un’ingiustizia. Mancini doveva accettare le scuse, doveva finire col fischio dell'arbitro”.
Dopo la replica, un fuoco di fila di polemiche, condanne e prese di posizione si è abbattuto sull’allenatore partenopeo, accusato nell’ordine di omofobia, razzismo e via discorrendo…
La nostra testata aveva scelto di celebrare così lo scorso anno passione, umiltà e disciplina di Maurizio Sarri: ebbene non torniamo indietro, non ci rimangiamo parole spese per un evidente scivolone preso dall’allenatore nel recupero di una concitata ed importante gara. Il motivo è semplice e ben noto anche a chi si è affrettato a crocifiggerlo: Sarri non è affatto una persona razzista, né violenta o esagitata.
Certo può accadere, e stavolta è accaduto a lui, che l’adrenalina e l’agonismo generino ingiustificate reazioni di nervosismo: talvolta può, e altrettanto certo non deve, sfociare in una più plateale e inqualificabile aggressività fisica, come quella riservata da Felipe Melo, mediano in forza proprio all’Inter di Mancini, a Lucas Biglia, regista della Lazio, lo scorso 20 dicembre a San Siro. In quell’occasione, un calcione di frustrazione dopo una pessima partita indirizzato al capo del laziale, potenzialmente pericolosissimo, costò al brasiliano un rosso diretto ed una squalifica, palesando un gravissimo gesto antisportivo: allora Mancini non tuonò altrettanto veementemente, accennando ad “un errore che il ragazzo avrebbe giustamente pagato”.
Così come non tuonò allo stesso modo poco più di quindici anni fa, quando al termine di un teso Lazio-Arsenal di Champions League del 17 ottobre 2000, l’allora compagno di squadra Sinisa Mihajlovic fu accusato dall’avversario Patrick Vieira di insulti razzisti: proprio Mancini gettò acqua sul fuoco predicando nell’occasione come “qualche insulto in campo ci possa stare e l’importante è che tutto finisca lì”. Ora, non sappiamo se il tecnico jesino abbia evidentemente cambiato idea sul suo settore principale di competenza, da annoverare alla voce “il campo e le sue leggi”, e certo non saremo noi a garantire alcuna giustificazione, per carità, nei confronti di un’espressione irriguardosa e volgare come quella usata da Sarri al collega nerazzurro.
Ma chi, desideriamo domandare soprattutto a chi oggi si scaglia contro Sarri, non si è mai malamente esposto dialetticamente, se non molto peggio con atti fisici, offendendo un’altra persona e indirettamente molte altre, sull’orlo della tensione? Chi giocando per anni e anni su un campo da calcio, tra la fatica e la tensione, l’agonismo e la delusione, non ha mai proferito qualche espressione di troppo o fuori luogo, senza per questo essere additato come l’orco o il razzista di turno? Lapidatelo pure, mister Sarri: sia chi è senza peccato, però, a scagliare la prima pietra.
Sarri ha sbagliato, lo sa: ha già chiesto scusa e sarà squalificato, oltre a pagare mediaticamente questa macchia in termini di reputazione. Omofobia e razzismo però sono decisamente ben altra cosa, così come concetti quali perbenismo e ipocrisia rischiano di mescolarsi in un evitabile stucchevole teatrino: chi ama il calcio e le figure che gli rendono onore nonostante qualche umana caduta, come Sarri, non se ne faccia complice o coprotagonista.