Sarajevo vent’anni dopo
Un fiume di sedie rosse vuote, 11.541 per l’esattezza, in ricordo delle vittime dell’assedio di Sarajevo. La capitale bosniaca ricorda così la pagina più tragica della sua storia recente che vide le forze serbe tenere la città sotto attacco dal 6 aprile 1992. Furono in effetti 11.541 le vittime accertate, di cui 1500 bambini, oltre 50 mila i feriti. La fine dell’assedio verrà firmata solo tre anni e mezzo dopo, il 21 novembre 1995, a Dayton in Usa.
Venti anni dopo la città si ferma a ricordare i concittadini uccisi con un concerto di musiche e canti: migliaia le persone sui marciapiedi attorno alle sedie vuote dove molti hanno posato un fiore, oppure dolci e giocattoli, su quelle che ricordavano i più piccoli. «Se noi sarajevesi fossimo stati dichiarati un esperimento – dice Suada Kapic, autrice del progetto di un futuro museo dell’assedio –, le nostre conoscenze ora proverebbero scientificamente all’umanità che è possibile sopravvivere a una catastrofe e al terrore e rimanere nello stesso tempo esseri umani». La città vuole tenere viva la memoria di una Bosnia in cui la tolleranza e la vita comune erano una tradizione secolare, in un presente ancora assai complicato.