Sarahah, una app per sostenere gli altri?
Agli albori di Internet, l’accesso agli spazi condivisi, come forum e chat, avveniva quasi totalmente attraverso nickname e pseudonimi, che permettevano di interagire in modo anonimo.
Poi è arrivato Facebook, che ha sdoganato il concetto di anonimato su Internet, visto che per iscriversi è necessario fornire il proprio nome e cognome. Così abbiamo imparato a mettere quasi sempre la faccia e il nostro nome in tutto quello che facciamo e diciamo online, insulti compresi.
Da qualche tempo sembra però che stiano tornando in auge i sistemi che permettono di mandare messaggi in forma anonima. L’ultimo in ordine di tempo ad apparire online e poi sui nostri smartphone è stato Sarahah, una app dal nome che in arabo significa “onestà”, sviluppata in Arabia Saudita.
Obiettivo originario del creatore della app era quello di creare uno strumento per facilitare le valutazioni aziendali anonime. Ma come spesso accade sul Web, ciò che era stato pensato con un determinato scopo finisce per essere utilizzato in tutt’altro modo.
Come funziona Sarahah
Il funzionamento è molto semplice: ogni utente crea il suo profilo e diffonde un nickname o un link che lo identifica. Una volta arrivati sul “profilo” di qualcuno, chiunque può lasciare un messaggio in perfetto anonimato, anche senza iscrizione. Chi ha ricevuto il messaggio lo può leggere in una schermata apposita, che solo lui può raggiungere.
I numeri di Sarahah
Sarahah è diventato un fenomeno virale, non solo tra i giovanissimi. In questo momento si trova stabilmente ai primi posti degli store da cui si scaricano le app. Secondo il suo creatore, gli utenti registrati alla app sono 14 milioni, con circa 20 milioni di visitatori unici conteggiati tra app e sito internet.
L’anonimato rende violenti?
Nonostante il sito e la app invitino in modo esplicito a utilizzarla per mandare un “messaggio costruttivo”, la grossa paura è che questa app si trasformi in un’ulteriore freccia nell’arco dei cyber-bulli di tutte le età.
Paura condivisibile. È bene però, prima di indicare l’anonimato come la causa di tutti i mali di Internet, soffermarsi sui risultati, per certi versi sorprendenti, di alcuni studi: sembra in generale, infatti, che chi ci mette la faccia sia molto più aggressivo di chi la nasconde. E basta leggere qualche discussione su Facebook o Twitter per rendersene immediatamente conto.
Sembra paradossale, ma chi insulta sembra provare molto più piacere nel metterci la faccia per rivendicare la propria cattiveria. Così, con le dovute eccezioni, sembra che Sarahah sia utilizzato maggiormente da innamorati timidi piuttosto che dai bulli del quartiere.
Quali pericoli?
Al momento Sarahah non sembra riscuotere un grande successo tra i giovanissimi, perché a differenza del recente ThisCrush o del più longevo Ask, non esiste una bacheca visibile su cui fare tutte quelle attività (taggare, mettere “mi piace”, condividere) che i ragazzi chiamano “fare show”, che è poi il piatto forte della nostra realizzazione sociale su un social network. E questo toglie la possibilità ai bulli di utilizzare uno degli elementi fondamentali, quando parliamo di bullismo: il “branco” che sostiene l’aggressione.
Il vero pericolo, allora, riguarda ancora una volta i nostri dati personali (messaggi inviati compresi), che diventano proprietà di Sarahah la quale, nei termini di condizioni del trattamento dei dati, si prende il diritto di modificarli in qualsiasi momento senza preavviso e conosce tutto di noi.
Qualche suggerimento
Anche se l’inventore della app promette l’introduzione di alcune funzionalità per limitarne l’uso improprio, è sempre utile avere nella propria cassetta degli attrezzi qualche suggerimento per affrontare il fenomeno al meglio:
- leggere sempre con attenzione i termini e le condizioni di trattamento dei nostri dati;
- se siamo genitori/educatori, vigilare e affrontare insieme ai ragazzi l’argomento, controllando anche l’eventuale pubblicazione dei messaggi ricevuti in altri social;
- ricordare e ricordarci che scrivere in maniera anonima non ci rende impunibili;
- se una cosa non la possiamo dire con il nostro nome (a meno che non sia la dichiarazione di un timido innamorato), probabilmente non è una cosa buona: non diciamola!
E poi un suggerimento un po’ controcorrente: e se utilizzassimo Sarahah per lasciare qua e là messaggi anonimi positivi? A chi non piacerebbe trovare sul parabrezza della propria auto un bigliettino con un sorriso?