Sappiamo erigere solo muri
Ci risiamo. Questo inizio millennio sembra non sappia far altro che erigere nuovi muri per risolvere in maniera definitiva i problemi di conflittualità che scoppiano un po’ su tutto il pianeta. L’ultimo in ordine di tempo è la nuova “barriera di protezione” (gli eufemismi sono universali quando si tratta di giustificare l’erezione di un muro!) che separa all’interno stesso di Gerusalemme tra Jabel Mukaber, quartiere arabo, e Harmon HaNatziv, quartiere invece ebraico.
La nuova “intifada dei coltelli”, e non più delle pietre, ha creato un grande scompiglio in Israele e nei Territori palestinesi, a testimonianza di un conflitto irrisolto da oltre mezzo secolo, che la lobby trasversale “del conflitto permanente” (leggi finanziamenti che non arriverebbero più se ci fosse convivenza pacifica) non può e non vuole risolvere. L’unica soluzione sarebbe una “Gerusalemme di tutti” sotto l’egida dell’Onu, ma chissà quando potrà essere realizzata.
Scriveva il grande poeta polacco Zbigniew Herbert in “Rapporto dalla città assediata”: «Il muro è alto e robusto. Al di là del muro ci sono un albero e una stella. L’albero scalza il muro con le radici. La stella rosicchia la pietra come un topo. Fra cento, duecent’anni ci sarà già una piccola finestrella». Speriamo prima.