Sapore di Cielo
Arrivo il primo giorno di primavera. Il 21 marzo? No, in Romania la primavera inizia il primo marzo! Lungo l’autostrada che da Bucarest conduce a Pitesti il primo segno: sulla corsia d’emergenza gruppi di donne vendono mazzetti di gladioli e mughetti. Il primo marzo si regalano i fiori. In città la via principale è invasa da mille bancarelle con fiori, ninnoli, frittelle. La gente passeggia tra aria di festa. Tanta neve, ma è primavera! Lo ricorda anche il sole che spunta timido. Bambini e ragazzi guizzano coloratissimi sulla neve, festa nella festa: tute termiche, fantasiosi cappellini di lana, zainetto anatomico… Tra loro uno sguardo triste, un giubbotto di finta pelle troppo grande e lacero, gli stivaloni di plastica. Lo noto subito, posizionato strategicamente davanti al negozio degli alimentari: non posso non fermarmi a guardarlo. Presto noterò altri due, dieci, cento bambini orfani, abbandonati, soli… Ma oggi, primo giorno, non mi sono ancora assuefatto. Si precipita verso di me e farfuglia una delle tante storie: la mamma è morta, il papà in ospedale con la tubercolosi, lui vive con la nonna. Mi chiede frattaglie di pollo per una ciorba calda, la tradizionale zuppa rumena, da preparare a casa con la nonna. Entro nel negozio: frattaglie di pollo, un filone di pane, latte e formaggini. Lo vedo incamminarsi subito verso casa, nei campi fuori città, sbocconcellando il pane nudo sotto il braccio. Oggi è anche il mercoledì delle ceneri. Ma sono in pochi a saperlo, in città. La comunità cattolica è una sparuta minoranza in un ambiente quasi interamente ortodosso. La in- contro a sera, nella chiesa modesta. Poche decine di persone, felici di trovarsi insieme a pregare, a cantare. Fa freddo ed è buio quando usciamo, ma rimangono ancora lì, sul sagrato, come amici di vecchia data. Deve andare su in Moldavia – mi dicono -. Là sì che troverà numerose comunità cattoliche. Moldavia Pochi giorni dopo sono in Moldavia, ma vengo subito attratto dal mondo ortodosso, o meglio dai suoi straordinari monasteri. Parto da Neamt¸u, un santuario che conosco di fama, non posso non visitarlo. Il viaggio (il pellegrinaggio, dovrei dire) mi immerge nel mondo rurale. Case piccole e basse, con colori vivaci, allineate in ordine lungo la strada. Le staccionate di legno tirate a filo, senza che manchi una stecca; i cancelli sormontati da arcate fantasiose intarsiate a mano; i pozzi con l’argano, il secchio legato alla catenella, l’immancabile bicchiere lasciato lì per ogni passante. Granate di saggina in vendita sulle porte di casa; i pagliai di una volta dentro i cortili; i carri trainati dai cavalli… Un mondo da noi sparito e qui vivace e fresco. Faccio sosta da una famiglia di un nostro studente in Italia. Mi accolgono come uno di casa, come fossi conosciuto da sempre. La cucina è dominata dalla stufa a legna che dà calore a tutte le stanze. Le pareti vivono di santi e madonne incorniciati da sciarpe e scialli tessuti a mano, ricche come le iconostasi delle chiese ortodosse, testimonianza di una fede radicata e sincera.Mi offrono noci e yogurt fatto in casa. Riparto per Voronet¸ mentre ricomincia a nevicare: bianco il cielo, bianca la terra. Giungo a fatica al santuario, col vento che fa pizzicare la neve in volto. Una muraglia salda lo avvolge e lo protegge.Varco la soglia del recinto sacro e nel bagliore della neve s’erge silenziosa e solitaria l’antica chiesa. Nella sua eleganza ed essenzialità architettonica sembra la tela d’un pittore. Interamente affrescata fuori e dentro, mi si presenta come una summa teologica medievale, una divina commedia affrescata. La chiamano la cappella sistina dell’Ortodossia. Dal 1400 le sue pareti continuano a raccontarci le storie della Bibbia, le vite dei padri del monachesimo antico, dei santi, delle vergini martiri… E soprattutto il giudizio universale.Mi ricorda i tanti affreschi trecenteschi delle nostre cattedrali. Con una differenza. Da noi l’inferno è rappresentato in maniera drammatica e dominante. Qui è relegato in un angolino, proprio perché si sa che fa parte del giudizio universale.Ma l’intera parete che accoglie il dipinto è interamente consacrata al paradiso: luminoso, con schiere di santi e d’angeli… Chi parla più oggi del paradiso? Se mai lo guardiamo come ne nascerà in noi la nostalgia? Se non ne sappiamo la bellezza come pensare di raggiungerlo? Le pareti di Voronet ¸ possono ancora motivarci: il paradiso è bello, vale la pena fare di tutto per entrare. Sarà per questo che durante l’anno, soprattutto in estate, migliaia di fedeli ortodossi giungono qua in pellegrinaggio? Vi rimangono per giorni a pregare ma soprattutto, penso, a guardare il paradiso, a contemplare. Altri monasteri Gli impegni di lavoro sono esigenti e mi prendono tutto il tempo.Ma trovo ancora qualche ritaglio per correre al monastero di Neamt¸ e a quello di Agapia. Più che dai monasteri e dalle pitture sono attratto da chi vi abita. I monaci del monastero di Neamt¸ non li trovo nella grande chiesa monumentale, ma in una piccola cappella. Entro e, venendo dal biancore della neve, quasi non riesco a distinguere niente, tanto è oscuro il luogo della preghiera. Odo soltanto le modulazioni delle litanie e il canto disteso del vangelo di Giovanni. Canteranno così gli angeli in paradiso? Lentamente lo sguardo mette a fuoco, uno dopo l’altro, una ventina di uomini con le barbe e i capelli incolti. Chi prostrato a terra, che in ginocchio, chi seduto sugli scanni… È una liturgia eterogenea quella che mi si para davanti, quasi anarchica, mi verrebbe da pensare. Devo subito cancellare le immagini che la memoria mi propone immediatamente, per contrasto, con il coro dei cistercensi visti ad Heiligenkreuz, in Austria.Ma perché dico anarchica? Non è piuttosto una grande varietà carismatica quella che ho adesso davanti? L’Oriente cristiano non conosce la molteplicità degli ordini religiosi come l’Occidente, ma adesso mi pare di intuire che in questa cappella ogni monaco è un mondo carismatico che converge, unitario, verso l’iconostasi, e più precisamente attorno alla Madre di Dio che, stranamente, ha tre mani. Agapia è invece un santuario di monache. Più che dal quadrilatero del monastero con la chiesa al centro, sono attratto dal villaggio che vi si distende tutto attorno. Niente di storico, di artistico. Sono le umili case dei contadini rumeni in muratura e in legno, con i tetti di zinco. Ricordano vagamente, solo per assonanza mentale, le casette dei monaci di Camaldoli. Ma qui niente clausura. Cammino fra le stradine innevate del piccolo villaggio e interpello una delle monache che camminano silenziose e svelte verso mete precise e misteriose. Mi parla della loro vita, di quelle che abitano in monastero, delle altre che come lei abitano nelle proprie casette, del seminario per le giovani aspiranti… Mi sembra di vedere le lavre dell’antico Egitto e della Palestina e mi passano davanti i primi monaci dei quali, qui in Romania, sto rievocando la storia e la spiritualità ad un gruppo di novizi e novizie cattolici. Rivolgo le stesse domande ad una monaca di monastero. Quando sa che insegno monachesimo antico mi dice meravigliata: Perché mi chiede come viviamo? Se ha letto le storie degli antichi padri del deserto sa già come viviamo. È vero, tra queste mura, tra queste case ho visto quello che nel IV-V secolo hanno visto in Oriente Palladio, Teodoreto di Ciro, Giovanni Cassiano, i grandi scrittori che ci hanno lasciato le testimonianze dei padri del deserto. Stessa vita. Unica differenza: là sabbia del deserto, qui neve. Il monachesimo: zoccolo duro dell’Ortodossia, baluardo di fede e di tradizione. L’unità della Chiesa d’Oriente e d’Occidente non si farà se non quando si incontreranno i rispettivi monachesimi. Ma siamo poi tanto lontani? Alcuni fatti sembrerebbero dire di sì. È di questi giorni la notizia che qui i greco-cattolici hanno riavuto una delle loro chiese che durante il comunismo erano passate agli ortodossi. C’è voluto l’esercito per sloggiare gli uni e per garantire i diritti agli altri, che hanno celebrato la loro prima liturgia blindati dai militari in armi. Non mancano neppure le esperienze positive. Quest’estate nella città di Roman i religiosi oblati, cattolici, hanno animato un campeggio per ragazzi e giovani ortodossi, in piena sintonia con i loro pastori: riuscito. Ma forse, ciò che più ci unirà, sarà proprio… il paradiso! Me lo fa pensare la coincidenza del 12 marzo, ultimo giorno della mia permanenza in Romania. Prima domenica di quaresima nel calendario ortodosso, è la festa delle icone, la festa dell’Ortodossia: viene ricordata la vittoria sull’iconoclastia… Seconda domenica di quaresima nel calendario cattolico, è per noi la festa della Trasfigurazione: Cristo mostra la sua luce di paradiso. Due feste del paradiso: le icone ci parlano del Cielo, così come la grande icona del Signore trasfigurato e risorto. Sarà la contemplazione del paradiso a portare l’unità.