Saper ascoltare (anche i fagioli)

Dal Giappone, una favola moderna e poetica sull’amicizia, la libertà e la resilienza

È possibile trovare ispirazione e spinta a superare le avversità della vita semplicemente osservando dei fagioli cuocere in una pentola? La risposta è sì. Ne è convinto Durian Sukegawa, che da questa esperienza ha scritto An, romanzo diventato famoso anche in Europa grazie al film diretto da Naomi Kawase e presentato al Festival di Cannes del 2015 (libro e film diffusi in Italia col titolo Le ricette della signora Tokue).

Nato a Tōkyō il 17 giugno 1962, scrittore, poeta, cantautore, clown, presentatore televisivo e radiofonico, con una laurea in Filosofia Orientale e una in Pasticceria, Durian Sukegawa è il nome d’arte di Tetsuya Sukegawa, personaggio molto noto nella sua patria anche come conferenziere sui temi affrontati col suo romanzo (il significato della vita, il dolore, i diritti umani, il morbo di Hansen…).

La trama. Sentarō è un tipo ombroso e solitario, che ogni sera, annebbiato dall’alcol, si addormenta nella sua cameretta di single. Pasticciere senza vocazione al Doraharu, il modesto negozietto sotto un ciliegio nei sobborghi di Tōkyō dove lavora, vende dorayaki, dolci tipici giapponesi a base di pandispagna e anko, una confettura di fagioli rossi: gli azuki. Pochi e soliti i suoi clienti, tra i quali una adolescente introversa di nome Wakana. Quando un giorno una signora, l’ultrasettantenne Tokue, gli si propone come aiuto cuoco a fronte di una paga ridicola, dapprima Sentarō rifiuta, un po’ per l’età della donna e un po’ per le mani deformi di lei, ma dopo aver assaggiato la sua deliziosa marmellata di azuki, decide di assumerla. I nuovi saporosi dorayaki – niente in comune con il preparato industriale da lui prima utilizzato – cominciano ad attirare nuovi clienti e nel giro di poco tempo le vendite raddoppiano. Intanto l’anziana insegna a Sentarō i minuziosi passaggi necessari per ottenere il magico preparato, rivelandogliene il segreto: «Si tratta di osservare bene l’aspetto degli azuki. Di aprirsi a ciò che hanno da dirci. Significa, per esempio, immaginare i giorni di pioggia e i giorni di sole che hanno vissuto. Ascoltare la storia del loro viaggio, dei venti che li hanno portati fino a noi». Ed “essere all’ascolto” (degli uomini, delle altre creature, delle cose, della vita, per coglierne il misterioso messaggio) è l’atteggiamento di fondo e il segreto del fascino di questa buffa e malandata vecchietta.

Poco tempo dopo, però, la proprietaria del negozio affittato a Sentarō impone al suo dipendente di allontanarla. È venuta infatti a sapere che è affetta da lebbra e la voce di ciò si starebbe già diffondendo. Restio a questa soluzione, il pasticciere continua a far lavorare Tokue, che gli ricorda la madre amante di dolci. A poco a poco, però, i clienti cominciano a rarefarsi. Prima che spariscano del tutto, la vecchietta si licenzia: rivelerà la sua storia a Sentarō attraverso una commovente lettera in cui deplora il pregiudizio degli uomini verso i diversi (tanto più che nel suo stadio la malattia non è più contagiosa), dicendosi ormai rassegnata a vivere in un sanatorio, isolata dalla società. A questo punto l’uomo le confessa di essere stato anche lui emarginato all’uscita dal carcere e costretto a lavorare in quel negozio per pagare un debito contratto col proprietario che gli aveva offerto questa occasione di riscatto.

Anche Wakana, la loro giovane amica, vive una vita problematica con una mamma che si prostituisce. A lei, senza pensare alle conseguenze, la ragazza ha incautamente raccontato delle mani malate di Tokue. Ma anche Sentarō si accusa di non aver protetto abbastanza l’anziana, lasciando che la voce sulla malattia si diffondesse. Wakana allora gli propone di farle visita nel sanatorio. Qui i due conoscono altri internati, amici di Tokue, che scoprono sereni e innocui, diversamente dalle loro aspettative. Sentarō, rincuorato dalle parole della vecchietta, s’impegna a mandare avanti il negozio assumendo Wakana al posto di lei. Ma quando la proprietaria decide di ampliarlo e di affiancare al dipendente il viziato nipote aspirante cuoco, l’uomo cade di nuovo in depressione.

Nell’ultima visita al sanatorio, lui e Wakana rimangono scioccati alla notizia che la loro amica è morta tre giorni prima a causa di una polmonite. Tokue però ha lasciato a Sentarō un ultimo prezioso insegnamento tramite una lettera (nel film, molto fedele al romanzo, è un messaggio registrato): il mondo ha significato in quanto esistono gli uomini che lo guardano e lo ascoltano, per questo ogni vita umana ha un senso, sia di chi muore bambino sia anziano (come quella di suo marito, portato via dalla lebbra), come pure quella del suo ex principale: «Il periodo doloroso che ha passato dietro le sbarre, il suo incontro con i dorayaki, tutto questo ha un senso, secondo me. Lei deve vivere a modo suo, sfruttando tutte le possibilità. E sono certa che verrà il giorno in cui potrà affermare: “Questa è la mia vita”. Anche se non diventerà uno scrittore o un maestro nell’arte dei dorayaki, verrà il giorno in cui troverà sé stesso, in cui sarà sé stesso».

E rivela: «Ecco perché facevo dolci: per nutrire tutte le persone che avevano accumulato lacrime. È così che anche io sono riuscita a vivere». In questo, l’anziana Tokue si dimostra “sorella” di un altro personaggio letterario, che dell’arte culinaria ha fatto un dono per la gioia degli altri: la chef del Pranzo di Babette, romanzo di Karen Blixen diventato anch’esso un film. Quello tratto dall’opera di Durian Sukegawa si conclude con un Sentarō finalmente sorridente che, licenziatosi dal negozietto, vende i suoi dorayaki in un parco cittadino.

Favola moderna e poetica sull’amicizia – amicizia fra i rappresentanti di tre generazioni, ognuno a suo modo emarginato e perdente –, sulla libertà e la resilienza, Le ricette della signora Tokue parla molto di dolore, ma a fine lettura ci si scopre singolarmente consolati. Celebra infatti la vita che insegna a trovare la grazia dell’inaspettato e la gioia nel fare al meglio le cose che amiamo.

Oltre ai personaggi umani, non si possono passare sotto silenzio i fagioli azuki e neppure quel simbolo di bellezza adorato dai giapponesi che sono i ciliegi brulicanti di fiori in primavera «come piccole nuvole appese ai rami». E un ciliegio appunto contrassegna la sepoltura di Tokue nel sanatorio. A rappresentare invece il mondo animale è il canarino Marvy, scacciato dalla madre di Wakana per la sua petulanza canora e dalla ragazza affidato alla signora Tokue, che però lo libera dalla sua gabbietta, lui pure simbolo di chi ritrova sé stesso.

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