Santi insieme, la testimonianza di Chiara Lubich

“Il Signore non ci domanda una santità individuale, ma comunitaria”: intuizioni, annuncio, squarci di vita.
Shantilal Somaiya e Chiara Lubich

All’interno di questo convegno incentrato su una riflessione sulla santità e che, nello stesso tempo, è il V promosso a seguito della Laurea honoris causa in Teologia della vita consacrata conferita a Chiara Lubich, mi è stato chiesto di dire qualcosa su come Chiara comprendeva la santità e il cammino per raggiungerla, prima di ascoltare quanto lei stessa ci propone in due brevi filmati.
è un tema vastissimo, di cui si potrebbe dire molto e a lungo. Non basterebbe solamente rilevarne le luci, le intuizioni, le indicazioni da lei donate… Tutto ciò andrebbe accostato alla testimonianza della sua vita, per quella profonda sintonia tra pensiero e vita che ha reso sempre trasparente, chiaro, limpido il suo messaggio. E come si può sintetizzare una vita, un cammino percorso coerentemente per lunghi anni? è evidente allora che quanto offrirò saranno solo degli spunti, dei brevi cenni al fine di venire soprattutto incontro a chi ha avuto meno occasione fino ad oggi di conoscere questa figura carismatica del nostro tempo.
 
La volontà di Dio, via di santità per tutti
 
Vorrei richiamare alcuni momenti della storia di Chiara e, per partecipazione, della storia dell’opera da lei nata (l’Opera di Maria o Movimento dei Focolari), che mi sembrano significativi nell’impegno sempre rinnovato a farsi santi insieme.
Vanno ricordati innanzitutto alcuni momenti delle origini a Trento. Il ritornare alle origini mi sembra, del resto, una via privilegiata nello scoprire nella sua purezza il carisma donato da Dio a un fondatore.
Partiamo con un episodio del Natale 1943, cioè pochi giorni dopo la sua consacrazione a Dio, avvenuta il 7 dicembre di quell’anno. Chiara ha la sensazione che Dio le chieda un ulteriore passo: che esiga di dargli tutto e per “tutto” non poteva non intendere se non quello che allora ordinariamente si pensava: la più stretta clausura. Per amore di Dio è pronta a dir di sì, pur avvertendo una lacerazione interiore, per un qualcosa che le si ribellava dentro. è il confessore a fermarla. Conoscendo quello che stava fiorendo attorno a lei, cioè quel gruppo di ragazze di cui alcune poi sarebbero diventate le sue prime compagne, le dice decisamente: “No, questa non è per te la volontà di Dio”. Questo episodio risulta per la Lubich momento chiarificatore: non uno stato di vita decide del raggiungimento della perfezione, ma il compiere la volontà di Dio[1].
Tale comprensione è accompagnata in lei da una gioia particolare: quella di veder possibile e “accessibile” la santità, anzi di aver trovato nella volontà di Dio la via di santità per tutti: “Mi sembrava di avere in mano la carta d’accesso alla perfezione non soltanto per un’élite di persone – quelle chiamate al convento o al sacerdozio – ma per le folle!”. La Lubich ne parla come di “scoperta estremamente utile e meravigliosa[2]. In effetti, in un tempo in cui la vita ecclesiale era ancora fortemente gerarchizzata in una visione piramidale della Chiesa (siamo 20 anni prima del Vaticano II, della Lumen gentium…), il mettere in rilievo con chiarezza la vocazione universale alla santità, in sintonia con 1 Tes 4, 3 (“è volontà di Dio la vostra santificazione”), presentava elementi di novità. Ciò poteva essere, dunque, avvertito come “scoperta”. Era capire che ci si può far santi non isolandosi dal mondo, ma vivendo senza riserve, nell’oggi della storia, la volontà di Dio, attimo per attimo, quell’attimo che è l’unico nelle nostre mani.
Non di rado, ricordando i primi tempi, Chiara afferma che il loro obiettivo non era il farsi sante: affermazione, questa, che può sembrare quasi contraddire quanto detto finora. Mi sembra, invece, indicativa di come si inizi ad aprire, anzi a “spalancare” quella nuova via di santità che Dio offre, quando dona un carisma.
Chiara, infatti, avverte il fascino della santità e dell’esempio dei santi, ma sente che l’imparare da loro non significa imitarli esteriormente, ma vivere come loro quello che è stata l’essenza della loro vita, del loro agire, l’autentica loro “grandezza”: il compiere per amore di Dio quanto lui aveva pensato per loro. Si instaura con i santi un rapporto di comunione, che sarà una delle caratteristiche del cammino spirituale di Chiara Lubich e dell’Opera di Maria. Si tratta di una “reciprocità di doni”, perché se da una parte Chiara è attenta a cogliere la particolare parola che Dio ha detto in ognuno dei santi, e quindi incoraggia ad “imparare” da loro, a farsi “figli di essi per partecipare del loro carisma[3], dall’altra richiama con chiarezza al fine a cui i carismi tendono, che è l’edificazione dell’ “ut unum sint” (cf. Gv 17, 21) nell’unico corpo di Cristo. E si capisce come in ciò il suo carisma, carisma dell’unità, sia un dono nuovo per la Chiesa e per le spiritualità in essa già presenti.
 
Santi per amore
 
Qual è allora la via che ci viene indicata dal carisma di Chiara? Se ripensiamo alla “pedagogia” usata da Dio nei confronti suoi e delle sue prime compagne durante la lettura del Vangelo nei rifugi, ricordiamo come egli abbia sottolineato loro in primo luogo le parole del Vangelo che più parlano d’amore e abbia concentrato la loro anima su quel comandamento che Gesù ha detto suo e nuovo (cf. Gv 13, 34), vissuto da loro fino a sperimentare la presenza promessa da Gesù tra due o più uniti in Lui (cf. Mt 18, 20).
Il primato dato alla carità viene, così, sin da quei primi anni a penetrare lo stesso desiderio di santità. La pienezza di comunione dell’altro con Dio è desiderata e ricercata come la propria. Se importante è dar gloria a Dio, “che la dessi io, che la desse l’altra non importava”, nota la Lubich. Sottolineando il cambiamento avvenuto grazie alla luce donata da Dio, ella spiega: “Prima eravamo tanto individualisti, ognuno pensava ai propri affari: a esser buono, magari a farsi santo, ma per conto suo, adesso lo stesso concetto, lo stesso desiderio della santità era messo in comune: volevamo amar l’altro e aiutar l’altro a farsi santo come noi stessi[4]. Farsi santi insieme. La tensione comune alla santità viene compresa come possibile solo se vissuta alla presenza di colui che è il Santo e che informa della sua santità.
Non c’è, dunque, contrasto in quanto Chiara afferma. Il carisma donato da Dio, infatti, non le permetteva di accettare quell’immagine comune, diffusa anche dalla letteratura agiografica, per la quale la vita dei santi è un susseguirsi di fenomeni straordinari, né di guardare alla santità come una meta da raggiungere attraverso penitenze, sforzi e atti eroici, ma a volte non privi di egoismo, di superbia, di ripiegamento su se stessi. No. La santità è dono di Dio, che va accolto, custodito, fatto fruttare nell’amore. La santità sta nella perfezione della carità ripete lei con insistenza, nell’essere perfetti come il Padre. E Dio è Amore.
Lo si rileva con chiarezza già negli scritti di quei primi anni. In una lettera del 1948 ad un religioso, Chiara (che aveva allora 28 anni!) scrive:
Non si contempli interiormente se prosegue o meno. è amor proprio sopraffino. Guardi sempre Lui: ‘Chi mette mano all’aratro…’.
Egli la sua unica passione…
Non desideri la perfezione. Desideri d’amarLo e Lo ami, attimo per attimo, adempiendo con tutto il cuore, le forze, la mente, la divina Volontà.
Mai nulla d’inquinato nell’anima Sua. Tutto sia ‘puro amore’ ossia tutto abbia – sinceramente – intenzione di esprimere l’amore a Dio…
Gesù attende il suo amore e Lei non può farLo aspettare. Tutto ciò che è Volontà Sua, lo faccia. Ha la grazia e la vita è breve.
Gesù poi attende con la sua santità la santità di moltissime anime. Non può farLo aspettare[5].
 
Il Santo fra noi

 
Il ricordare i primi tempi del Movimento esigerebbe il fermarsi ad approfondire quanta luce venga al cammino insieme verso la santità dall’esperienza mistica vissuta da Chiara nel 1949-50 e da lei – non è un caso – subito partecipata ad Igino Giordani e alle prime focolarine e focolarini. Le pagine che sono rimaste di quel tempo richiedono una lettura approfondita che non è possibile in questo luogo. Sono pagine splendide, piene di luce, di cui alcune già note[6].
Mi sembra importante, tuttavia, citare almeno uno scritto del 1950. Chiara scrive: “Il comando di Gesù: ‘Siate perfetti come il Padre’ (Mt 5, 48) è comando che vale per tutti in ogni attimo della loro vita: anche per il peccatore appena convertito. Vale quanto le altre parole di Gesù. Come, ad esempio, tutti sempre debbono amare il prossimo come se stessi, così tutti debbono essere perfetti come il Padre. Ma ciò è possibile solo se ci mettiamo a farci santi ponendoci nell’ordinaria condizione indispensabile per divenirlo, cioè se a base della nostra santità (ante omnia, anche prima della santità) poniamo la mutua carità: Gesù fra noi come premessa o principio, come mezzo per santificarci e come fine[7].
Penso che questo sia uno dei testi fondamentali per comprendere il cammino alla santità secondo la spiritualità dell’unità e che offra indicazioni preziose anche per la vita religiosa. La santità si raggiunge con Lui e grazie a Lui. Per Chiara ciò è più di una convinzione: è una certezza. Con decisione e costanza ella ha ripetuto: “Non possiamo farci santi se non mantenendo vivo il Risorto in noi e il Risorto fra noi[8] e ne ha preso coscienza sempre nuovamente in prima persona: “Mi passa per l’anima, in questi giorni, un pensiero che è anche un ammonimento: ‘Non puoi prenderti il lusso di farti santa, se il Santo non è fra voi. Non puoi illuderti di diventare perfetta, se il Perfetto non è fra voi’[9]. Per questo Chiara ha voluto condividere con tutti le intuizioni avute a riguardo, le ispirazioni di Dio, le esperienze vissute, e lo ha fatto senza timore, perché servisse all’edificazione comune, ad incoraggiare e rinnovare l’impegno a camminare insieme nella santità, con Gesù presente tra “due o più…”.
Sono intuizioni nuove rispetto a quei tempi. Oggi risultano in profonda sintonia con la dottrina del Vaticano II e il magistero della Chiesa nel nostro tempo. Dirà la Lumen gentium: “Il Signore Gesù, maestro e modello divino di ogni perfezione, a tutti e a ciascuno dei suoi discepoli di qualsiasi condizione ha predicato quella santità di vita, di cui egli stesso è autore e perfezionatore […]. Mandò infatti a tutti lo Spirito Santo, che li muova internamente ad amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente, con tutte le forze (cfr Mc 12,30), e ad amarsi a vicenda come Cristo ha amato loro (cf. Gv 13,34; 15,12). I seguaci di Cristo, chiamati da Dio, non a titolo delle loro opere, ma a titolo del suo disegno e della grazia, giustificati in Gesù nostro Signore, nel battesimo della fede sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere e perfezionare con la loro vita la santità che hanno ricevuto” (n. 40)[10].
 
Un dono a Maria
 

Facciamo un salto agli anni Sessanta. Non si può tralasciare di fare almeno un breve accenno al 1961. Leggendo gli scritti di santa Teresa d’Avila, Chiara costata di trovare nella vita dei membri del Movimento quegli effetti che santa Teresa riscontra nella anime che seguono la sua via di santità. È un segno che il cammino tracciato nell’Opera di Maria è un cammino di perfezione, un cammino che – allora lo si comprende chiaramente – trova proprio in Maria il “tipo”, il modello, la “forma”. I diversi momenti della vita della Madre del Signore che il Vangelo ci presenta, pur “straordinari”, appaiono allora “come tappe successive a cui l’anima… [può] guardare nelle diverse età della vita dello spirito, per averne luce e sprone”. è un’illuminazione che Chiara stessa riconosce esser stata “così forte che abbiamo chiamato la nostra strada: Via Mariae, la Via di Maria[11].
Tra le tappe della vita di Maria, il momento della desolazione ai piedi della croce occupa, senza dubbio, un posto particolare nella riflessione e nella spiritualità del Movimento. Maria, nel suo stabat, appare modello e garanzia di santità, personificazione di tutte le virtù. Si rafforza così il legame già presente e molto intenso con lei. Un legame che rimarrà costante.
Vorrei ricordare a riguardo un’esperienza di Chiara del 1965. Dopo lunghi anni di studio da parte della Chiesa e di fedeltà a Dio e alla Chiesa da parte di Chiara, l’Opera è finalmente approvata. Il 9 aprile 1965, “Venerdì di Passione, la Desolata” Chiara scrive nel suo diario:
Alla Messa, un’idea che aveva la carezza d’un’ispirazione:
Giacché ti ho portata fin qui (al superamento di grosse prove nell’Opera), ora fatti santa.
Bene! Adesso non ci sono più scuse per nessuno di noi. […]
Per parte mia propongo di incominciare. E lo scrivo qui perché tutti lo sappiano e la Desolata a tutti trasmetta – mio tramite – questo dono. Prego – e lo dico nell’udienza con Gesù Eucaristia, l’Onnipotente – che mi aiuti a raggiungere la meta, per far della mia eventuale santità un piccolo dono personale a Maria[12].
L’invito avvertito da Dio il venerdì di Passione ritorna ripetutamente nelle pagine del diario: è il proposito di un dono personale, ma che è subito condiviso perché diventi un dono comune a Maria. Colpisce il pensare che quel 14 marzo del 2008, giorno del ritorno di Chiara alla casa del Padre, era un venerdì di Passione…
Scrive Chiara il 28 giugno del 1965:
Voglio farmi santa anch’io: voglio fare veramente quel piccolo dono personale a Maria, cui sono stata invitata interiormente il venerdì di Passione. Ma stamane, alla Messa, ho capito che non ho tempo da perdere, né d’attendere.
La morte viene quando meno ce l’aspettiamo, come dice il Vangelo… Allora, se la Madonna vuole questo dono da me, lo devo fare subito: devo vivere bene il mio ‘attimo presente’, essendo in quello ‘santa’. E qui nessun binario migliore delle norme di vita che Dio m’ha dato e la Chiesa m’ha confermato. Ho capito veramente con forza stamane che per questo lavoro (santificarmi) non debbo attendere nemmeno domani, perché domani posso non esserci. È un affare dell’oggi, di adesso.
E ho sentito il desiderio di scriverlo su questo diario perché tutti, almeno i focolarini, lo sappiano.
Tante cose dobbiamo fare: ma, fra queste, quella che tutte le deve ordinare e convogliare: farci santi per offrire un piccolo dono a Maria[13].
 
Il santo viaggio
 
Passiamo, con un altro grande salto, al 1980, anno in cui il cammino alla santità riceve un nuovo impulso. Era appena passato il periodo estivo in cui Chiara aveva scritto dei testi sulla volontà di Dio. Annotando gli effetti che il solo lavoro a questo aveva portato in lei, scrive il 2 ottobre 1980: “La volontà di Dio m’è entrata nell’anima come un marchio… Vorrei, durante quest’anno, far di tutto perché tutti siano convinti della sua enorme importanza e perché si decidano a viverla con tutto l’impegno. Vedremo il mondo cambiarsi, tutti tenderebbero alla santità[14].
Un mese dopo chiede a Dio una spinta decisiva per farsi santa e la sua richiesta viene esaudita. Gesù che nei primi giorni a Trento le aveva rivelato il senso profondo del suo grido sulla croce “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46), Gesù Abbandonato, Colui che presto era diventato il tutto della sua vita, ora sembra interpellarla: “Se non mi amerai tu, chi mi amerà?”. Gesù Abbandonato: è lui la strada alla santità. Come sempre, comunica questa sua esperienza interiore a tutti, ai focolarini dapprima, poi anche ai più giovani, il 31 dicembre del 1980. Nell’amore a lui abbandonato sempre, subito, con gioia – e quindi ogni volta che si presenta, con prontezza e con allegrezza – tutti avrebbero trovato la via e corrisposto anche a quanto la Chiesa richiede quando parla di virtù eroiche. L’esempio della beata Gabriella della Trappa, che aveva raggiunto in pochi anni la santità, incoraggia e dà speranza. L’adesione è immediata e si parte insieme nel cammino comune verso la santità. In sintonia con la Scrittura: “Beato l’uomo che pone la sua fiducia in te e decide nel suo cuore il santo viaggio” (cf. Sal 83 [84], 6 ), lo si chiamerà “santo viaggio”.
Esso è stato da Chiara accompagnato regolarmente con pensieri spirituali comunicati durante conversazioni telefoniche collettive: i Collegamenti[15]. Ogni Collegamento era per Chiara motivo di grande gioia: un appuntamento, forse il più importante nel riunire i membri del Movimento sparsi nel mondo, per essere sempre di più un’unica famiglia, con un’unica meta. Ed è stato proprio il Collegamento il luogo privilegiato per Chiara per condividere quanto Dio le faceva via via capire o attraverso circostanze esterne a volte anche casuali, come poteva essere un paesaggio visto durante una gita o un viaggio, o approfondendo la spiritualità dell’unità. Lo faceva vita prima di tutto lei nei giorni antecedenti quest’appuntamento mondiale e poi riassumeva il suo pensiero spirituale in un “motto” o “parola” da vivere fino alla conversazione successiva, così da progredire costantemente ed insieme nel cammino alla santità. Un cammino che ha portato frutti di santità nella vita di molti.
E se oggi lo si costata con gratitudine a Dio, al tempo stesso si prende nuovamente coscienza che tale proposta non è riservata ad alcuni, ma è una via accessibile e praticabile da tutti: una santità comunitaria, “santità di popolo”. Una proposta, quella di Chiara, che riemerge come dono provvidenziale di Dio in un tempo in cui la Chiesa riscopre il suo dover esser “la casa e la scuola della comunione” e sente l’urgenza di riproporre “con convinzione” la santità come “‘misura alta’ della vita cristiana[16].
 



[1] C. Lubich, Il sì dell’uomo a Dio, in Scritti Spirituali/4, Città Nuova, Roma 1981, pp. 239-240.

[2] Ibid.

[3] Cf Id., Diario 1964/65, cit., Roma 1985 (nuova edizione), p. 61.

[4] Id., La “storia dell’Ideale”, Heidelberg, 14 marzo 1962 cit. in L. Abignente, Memoria e presente. La spiritualità del Movimento dei Focolari in prospettiva storica, cit., Roma 2010, p. 109.

[5] Id., Lettera dell’8 settembre 1948 a P. Bonaventura da Malé, ofm cap., in Lettere dei primi tempi (1943-1949). Alle origini di una nuova spiritualità, a cura di F. Gillet – G. D’Alessandro, cit., Roma 2010, pp. 195-197.

[6] Particolarmente significativo uno scritto del 1950 in cui la Lubich illustra il cammino di santificazione per la via dell’unità: cf. C. Lubich, La dottrina spirituale, a cura di M. Vandeleene, cit., Roma 20092, pp.77-78.

[7] Id., La volontà di Dio, a cura di L. Abignente, cit., Roma 2011, p. 91.

[8] Id., Cercando le cose di lassù, cit., Roma 19923, p. 36.

[9] Id., La vita, un viaggio, cit., Roma 19853, p. 26.

[10] Le evidenziazioni sono mie.

[11] Id., Maria nel Movimento dei Focolari e il rosario, in A. Sgariglia (ed.), Contemplare Cristo con gli occhi di Maria, cit., Roma 2003, p. 37.

[12] Id., Diario 1964/65, cit., p. 94.

[13] Ibid., p. 117.

[14] Id., La volontà di Dio, cit., pp. 11-12.

[15] Per “Collegamento” si intendono le conversazioni-conferenze e, nell’uso corrente, anche i pensieri spirituali proposti da Chiara durante tali conferenze telefoniche. Incominciate nell’estate 1980, nel desiderio di una stretta comunione con i focolarini della Svizzera, dove la Lubich si trovava in vacanza, queste conversazioni-conferenze si sono allargate presto a tutto il mondo, tenendosi con periodicità regolare dapprima quindicinale, poi mensile. Nella consapevolezza dell’importanza data da Chiara a quest’appuntamento periodico, esso continua tuttora, seppur con frequenza bimensile.

[16] Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, nn. 43 e 31.


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