Santa Teresa d’Avila
Figlia della Chiesa tridentina e della Controriforma, Teresa visse fino in fondo il suo tempo, quando la vita religiosa si stava dissolvendo in molti territori d’Europa e la Chiesa correva ai ripari con una reformatio regularium che non si sapeva bene come attivare. Il cardinal Jiménez de Cisneros (1436-1517), per volontà dei sovrani di Spagna, Ferdinando e Isabella, aveva già intrapreso una decisa opera di riforma che anticipò di mezzo secolo quella che sarà voluta dal concilio di Trento. Quest’opera risvegliò ulteriormente le forze spirituali anche tra il popolo ed evidenziò situazioni gravi che continuavano a permanere.
Basterebbe leggere le informazioni riportate dal Generale dell’Ordine carmelitano durante le visite alle varie province per avere un’idea della situazione drammatica di quel tempo. Teresa stessa scrisse in una lettera del 13 dicembre 1576: «Non parliamo del rilassamento in cui sono i monasteri soggetti agli Ordinari: è un orrore. Non nego che ve ne sono di rilassati anche fra i soggetti ai religiosi, ma non mai come quelli». «È una cosa che strazia l’anima – scrive da Siviglia il 30 dicembre 1575 – assistere alle grandi offese che si fanno a Dio, dai frati alle monache». È qui che s’innesta il carisma di Teresa. Ella volle fondare non solo una comunità di persone che pregassero con tutta la loro vita, ma che la stessa, in tutte le sue espressioni, fosse preghiera anticipando, con il suo carisma, quanto leggiamo nella Gaudium et spes, 19: «La ragione suprema della dignità dell’uomo è la sua vocazione al dialogo e alla comunione con Dio».
Per Teresa la preghiera non è solo domanda, ma è instaurare un rapporto di amicizia con Chi ci ha amati per primo. «Per me la preghiera – scrive nel suo Libro della Vita – è fare amicizia con Dio, intrattenendosi molte volte con Lui in un dialogo d’amore, nell’intimità, con la certezza di essere da Lui amati». La certezza di questa amicizia è la presenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nell’intimo del cuore umano, per questo nella preghiera teresiana è importante la relazione tra le persone: chi prega e a chi ci si rivolge. La finalità è la comunione tra le persone, è quel fare amicizia fra le Persone trinitarie da cui siamo certi d’essere amati qui e ora.
Il suo insegnamento sulla preghiera fu innanzitutto l’umile e quotidiana fatica con cui ella trasmetteva a delle carmelitane, che erano figlie e sorelle, il suo “cammino di perfezione”.
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Teresa non prevedeva che, rivolgendosi a pochissime monache, dava loro un magistero di portata universale che l’avrebbe portata a essere la prima donna riconosciuta come Dottore della Chiesa. Collocandosi nell’antico Ordine carmelitano chiamato a rinnovarsi, con lei il vecchio e il nuovo si fusero armonicamente e con genialità, irradiando una nuova forma al Carmelo. Il “particolare” della sua vita, quasi irrilevante nell’immenso travaglio del suo tempo storico, si innestò in quel particolare che fu il suo ordine religioso, a sua volta la vita nuova nel Carmelo aveva qualcosa da dire a tutta la vita religiosa, e, questa, alla Chiesa e al mondo.
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Nei suoi ultimi fecondissimi ventidue anni esplose la sua grande umanità. Entrò in contatto con innumerevoli persone: dai teologi più importanti di Alcalá e Salamanca che segnarono la rinascita della teologia scolastica (Banez, domenicano era uno dei suoi amici più fedeli e anche forse uno dei più autorevoli teologi quel tempo) ai vescovi, dai santi ai re, dai postini allo sconosciuto contadino.
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Moltissimi testimoni del tempo insistono sul fatto che Teresa avesse avuto modo di conoscere la tempesta che sconvolse la Chiesa in Germania, in Inghilterra, nelle Fiandre e in Francia, attraverso diverse fonti o circostanze: la richiesta che Filippo II fece ai monasteri e ai conventi spagnoli di pregare e fare processioni per la gravità degli eventi che stavano accadendo, i contatti frequenti coi gesuiti, sin d’allora ben informati, soprattutto attraverso le lettere periodicamente inviate al centro dell’ordine, e il clima instaurato dall’Inquisizione in cui Teresa stessa fu coinvolta.
Di fronte alla frattura che si consumava nella Chiesa con la Riforma, scrisse: «Ho sofferto molto e come se io potessi qualcosa o fossi qualcosa piangevo con il Signore e lo supplicavo di rimediare a tanto male». E non fu così ingenua da attribuire le cause solo a una parte, anzi le attribuì soprattutto a se stessa e ai religiosi in genere. Quasi al termine del suo Cammino di perfezione, scrisse: «Forse sono proprio io quella che ti ha incollerito con i suoi peccati». Ma in questa sofferenza per le grandi necessità della Chiesa, Teresa scoprì il volto del Cristo paziente nella Chiesa peccatrice, il prolungamento della sua passione nella storia e sentì di far quel poco che stava in lei, aderendo in modo radicale alla chiamata di Dio.
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Molti uomini e donne si sono alimentati alla sua dottrina come a quella di san Giovanni della Croce: quando Edith Stein lesse l’autobiografia di Teresa ella confidò agli amici: «Cominciai a leggerla e ne fui talmente presa che non potei fermarmi prima di averne finito la lettura. Chiuso il libro, dissi a me stessa: “questa è la verità”».
La Stein stessa scriverà come carmelitana:
Lo straordinario lavoro di educazione della nostra santa Madre non finì con la sua morte. Il suo operare travalica i confinidel suo popolo e del suo Ordine, non rimane neppure rinchiusa nella Chiesa, ma invade anche coloro che ne sono al di fuori. La potenza del suo linguaggio, la veridicità e la naturalezza della sua esposizione aprono i cuori e conducono all’interno della vita divina. Il numero di coloro che la ringraziano per il cammino di luce, sarà rivelato solo nel giorno del giudizio.
A distanza di cinque secoli, santa Teresa di Avila continua a lasciare le orme della sua missione spirituale, della nobiltà del suo cuore assetato di cattolicità, del suo amore spoglio di ogni affetto terreno per potersi dare totalmente alla Chiesa.
Il carisma di Teresa d’Avila, insieme ai movimenti nati al tempo della pre-riforma e durante la Riforma cattolica contribuirono, aprendo nuove strade, a rinnovare la Chiesa nel suo interno e la società stessa. L’incarnazione del Vangelo passava attraverso nuove forme concrete di carità organizzate rivolte, soprattutto, ai poveri e agli umili. I santi si sentivano chiamati a rispondere alle grandi necessità sociali: ammalati da curare, ragazzi da istruire, poveri da aiutare… Lo Spirito li portava a dedicarsi al servizio dell’umanità in tutte le sue miserie. È l’epoca dei gesuiti, di Camillo de Lellis, di Angela Merici, di Girolamo Emiliani, di Filippo Neri… I laici, in modo particolare, trovarono nella carità il luogo della loro azione cristiana. In Italia si sviluppò l’Oratorio del Divino Amore a cui aderiscono molti laici e nel quale maturano figure di fondatori e fondatrici (teatini, somaschi, orsoline, camilliani…), ben prima che la riforma protestante ebbe occasione di manifestarsi; ciò confermava l’emergere di una rinnovata vita cristiana e di un’aspirazione largamente diffusa in alcuni nuclei di fedeli, alimentata con la propria attività e spiritualità.
Da Marina Motta, Carismatica Europa, come i santi hanno rivoluzionato la storia dell’Occidente (Città Nuova,2015)