Santa Scorese, testimone autentica
«A volte penso che veramente anche il mio nome è qualcosa che Dio ha voluto dare a me perché contribuisse alla mia santità. Probabilmente io ho bisogno di ricordare più spesso (perché lo dimentico) quale è il fine a cui deve tendere la nostra vita».
Così, scriveva sul suo diario, Santa Scorese, giovane barese oggi considerata Serva di Dio. Cioè, una persona in cui la Chiesa cattolica ha riconosciuto, dopo la sua morte, la «santità di vita» o l’«eroicità delle virtù», e per la quale è stato avviato il processo canonico di beatificazione.
La sua storia sta viaggiando attraverso l’Italia, assieme a quelle di altri 24 giovani testimoni della fede, nella mostra “Santi della porta accanto”, giovani testimoni della fede, promossa dall’Associazione Don Zilli e dal Centro culturale San Paolo, con il supporto del Gruppo editoriale San Paolo, e la collaborazione del Servizio Nazionale della Pastorale Giovanile della CEI.
La mostra propone una serie di ritratti di giovani che hanno preso sul serio il Vangelo e che hanno cercato di viverlo con radicalità, gioia ed entusiasmo, nella loro seppur breve vita.
Santa Scorese, nella preghiera per la sua beatificazione, approvata dalla Curia Arcivescovile di Bari, è considerata “vergine martire”. Una definizione che, per la mia sensibilità, sa d’antico e ricorda i primi tempi del cristianesimo con quelle persecuzioni che generarono sante famose, come Cecilia, Agata, Agnese. Eppure Santa è una donna figlia del ’68, quasi coetanea, che ha vissuto la sua gioventù durante gli anni ’80 e l’inizio dei ’90 del Novecento. Allora? Il fatto è che anche Santa fu perseguitata. E, come quelle sante antiche, perseguitata fino alla morte.
Tutto ebbe inizio nei primi mesi del 1988. Santa è una giovane “di carattere”, decisa, intelligente, brillante, impegnata su tanti fronti: la parrocchia, il movimento Gen dei Focolari, con le missionarie dell’Immacolata di P. Kolbe, è volontaria della Croce Rossa.
Sente fortissima la chiamata a donarsi a Dio, o meglio, Santa sente che pian piano si sta innamorando di Dio, come annota sul suo diario: «Sono contenta di stare innamorandomi di Te”; e Lui di lei: “[…] questo Dio che si è innamorato di me senza sapere che si è andato a cacciare in un guaio». Così, mentre lei vive questo delicato e profondo momento di discernimento per la sua vita, il suo quotidiano è sconvolto da un incontro.
Un giovane squilibrato che la nota in chiesa, nella Cattedrale di Bari, comincia a seguirla. Santa ne ha paura. Prova panico. Racconta la sorella, Rosa Maria, durante un’intervista: «La seguì in centro, anche sul treno. Non erano ancora i tempi degli stalker. Non riesce a liberarsene, lui l’”accompagna” fino al nostro paese. Alla stazione, Santa informa il capostazione. Papà, poliziotto, corre a prenderla e speriamo tutti che la storia sia finita lì».
Invece, la storia prosegue. Quell’uomo, ossessionato da lei, la pedina, dorme fuori dalla sua casa, le rivolge parole sconce, oscene, scrive biglietti che le lascia sulla porta di casa, le telefona, riesce ad essere alla messa quotidiana dove va Santa, ogni volta in una chiesa diversa.
Frattanto, di fronte all’impotenza della polizia, si mobilita un’intera comunità per proteggerla. Santa non esce mai da sola, ha sempre qualcuno come scorta. Tuttavia, “il folle” o “il matto” come lei lo chiama, il 6 aprile del 1989, riesce a sorprenderla da sola e l’aggredisce per la prima volta.
«Credo e spero» – annota Santa sul suo diario – «che un’esperienza così non si ripeta mai più nella mia vita. È stato tremendo! Non so nemmeno se ho la capacità di scrivere quello che provo tanta è la confusione, lo scoraggiamento che ho dentro. Oggi il matto ha cercato di usarmi violenza. Mi ha prima detto che ero morta, e poi mi ha sbattuto per terra e lui cercava di baciarmi. Che sensazione orribile! Ho urlato con tutta la voce che avevo, con tutta l’anima, ma nessuno mi ha sentita. Ho invocato Gesù dicendogli che non poteva lasciar fare e ho chiamato Maria. Per fortuna pare che loro mi abbiano ascoltata e così ho cercato di liberarmi di quel pazzo che mi teneva stretta e sono andata dalle missionarie […]».
Da quel momento, Santa, lei che voleva volare libera come il gabbiano Jonathan Livingston, è costretta a limitare continuamente le sue possibilità di movimento e azione, e la situazione precipita. Annota, solo dieci giorni dopo: «Il tempo è bello, c’è il sole e sembra davvero che sia giunta la primavera. Potesse essere così dentro di me! Purtroppo le cose continuano a non andare affatto. Il pazzo ieri è ricomparso e sappiamo che la madre si rifiuta di farlo curare[…] Per concludere la serie dei guai, papà si è fratturato un braccio e non può nemmeno guidare, così… è Rosa la mia scorta. Mi sento terribilmente in colpa per tutto questo. Far alzare Rosa presto, farle fare da autista, tenere legate a me tante persone… proprio non lo sopporto. Mi sento un peso per tante persone e forse lo sono per me stessa. Quando finirà tutto questo?».
Solo due anni dopo, il 15 marzo del 1991, il “folle” riesce ad intrufolarsi nel cortile della sua casa. Santa è appena tornata da una catechesi in parrocchia, dove aveva scosso gli animi di tanti con le sue parole intense, rivolte all’accoglienza dei migranti che, a quei tempi, cominciavano a sbarcare lungo le coste pugliesi. Suona il citofono, il padre non sentendo risposta, si affaccia al balcone: il persecutore è sopra Santa, e la sta accoltellando. Scappa velocemente di sotto, toglie l’uomo dal corpo della figlia, poi è solo una corsa disperata in ospedale. Santa fa in tempo a sussurrare:«Ho 23 anni, non posso morire così!».
Non poteva finire così la sua vita. Lei che ne aveva accolto con coraggio il mistero, che ancora non aveva scoperto cosa Dio voleva da lei, il senso dei suoi palpiti, dei suoi sentimenti, i moti dell’animo della sua giovinezza. Lei che desiderava solo la pienezza di una strada, la felicità in Dio. È morta da martire dei giorni nostri, Santa, perché da donna ha difeso fino in fondo la dignità della sua persona.