Santa Bibiana ha perso un dito

L’incidente capitato alla statua scolpita da Gian Lorenzo Bernini riporta l’attenzione su un gioiello poco noto dell’Esquilino

Ironia della sorte: la statua di Santa Bibiana, capolavoro giovanile di Gian Lorenzo Bernini che, per la prima volta nella storia, aveva lasciato l’omonima chiesa per essere esposta, lo scorso novembre, nella riaperta Galleria Borghese, oggetto di un restauro condotto sotto gli occhi del pubblico, è ritornata in sede rifatta nel suo look, ma durante le manovre di riposizionamento ha perso un dito della mano destra. Ora ci si affretterà a rimetterlo, in fondo cos’è un dito? Se ne è visto di peggio: basta ricordare la Pietà michelangiolesca mutilata nel 1972 da un folle.

Lo sfregio a quest’opera, commissionata nel 1624 al grande scultore e architetto da papa Urbano VIII Barberini, può comunque servire a riportare l’attenzione sulla raccolta e silenziosa chiesa di Santa Bibiana al Rione Esquilino: un luogo dove si prega bene, una piccola oasi di pace nonostante si trovi in uno dei quartieri multietnici più vivaci di Roma, lungo la via Giolitti, sovrastata dalla torre idrica della stazione Termini e a ridosso del sottopassaggio sul quale corrono i binari della ferrovia.

Ben diverso era, un tempo, il sito in cui essa sorge, fagocitato com’è dagli ampliamenti moderni della capitale. Antiche stampe la rappresentano infatti in un luogo isolato, agreste, con lo sfondo degli imponenti ruderi del cosiddetto Tempio di Minerva Medica, probabile ninfeo degli Orti Liciniani, anch’esso oggi fiancheggiato dalla ferrovia e da squallidi edifici moderni.

Ma torniamo alla chiesetta. Dedicata alla giovane martirizzata al tempo delle persecuzioni di Giovanni l’Apostata (361-363) insieme al padre Flaviano, alla madre Dafrosa e alla sorella Demetria, fu fondata nel 467 da papa Simplicio o, secondo un’altra tradizione, dalla matrona romana Olimpia nel 363 sulla casa della santa, secondo una consuetudine comune ad altre chiese e basiliche romane sorte sulla dimora di un martire.

Col tempo, s’aggiunsero a far corona a Bibiana numerosi altri testimoni come lei. Come quelli che nel VI secolo erano sepolti nell’adiacente cimitero detto di Anastasio I, o come Simplicio, Faustina e Viatrice, i cui corpi per volere di Leone II vennero traslati nel santuario dal cimitero di Generosa, sulla Magliana.

E quanti, nel corso dei secoli, i restauri e le trasformazioni di cui fu oggetto il venerando edificio! (Disparvero, fra l’altro, l’annesso monastero femminile e la vicina chiesa dedicata a Paolo di Tarso). Esso subì un rifacimento radicale, assumendo l’attuale veste barocca, quando per il Giubileo del 1625 papa Urbano VIII ne affidò la ristrutturazione e il restauro a Gian Lorenzo Bernini.

Nell’arco di due soli anni egli rifece la facciata della chiesetta (la sua prima architettura), trasformò l’interno chiudendo le finestre delle navate laterali, aprendo in fondo ad esse due cappelline dedicate rispettivamente a santa Dafrosa e a santa Demetria, e rifacendo il presbiterio in sostituzione della primitiva abside (purtroppo con la probabile perdita dall’antico mosaico commissionato da papa Simplicio). Scolpì inoltre la bellissima (e sfortunata) statua in marmo bianco che troneggia al di sopra dell’altare, raffigurante santa Bibiana appoggiata alla colonna del supplizio mentre regge una palma.

Prima di immergerci nell’accogliente penombra di questo tempietto, diamo un’occhiata alla facciata, che riscosse un notevole successo all’epoca per le sue novità. Ripartita in due ordini, presenta in quello inferiore un porticato a tre arcate, mentre quello superiore è simile al prospetto di un palazzo nobiliare con finestre e balconata. Insomma il Bernini inserì, per la prima volta, la tradizione dei palazzi civili rinascimentali in un edificio sacro.

La sua struttura paleocristiana è ancora riconoscibile dalle tre navate divise da colonne di spoglio, le prime sei in granito rosso e le ultime due tortili in marmo bianco, con capitelli corinzi, compositi e a forma di loto. Nella parte inferiore dell’altare una preziosa urna di alabastro – una vasca proveniente forse dai bagni della lussuosa dimora di Flaviano, il padre della martire – contiene le reliquie di Bibiana, Dafrosa e Demetria. L’urna è protetta da una grata in bronzo dorato disegnata probabilmente dal Bernini, così come berniniani sono i candelieri con le api di papa Barberini, ripetute queste anche sulla vetrata policroma del presbiterio.

Passando alla decorazione interna, spiccano per importanza gli affreschi della navata mediana, relativi alla vita, al martirio e al seppellimento della santa titolare: il ciclo a destra dipinto da Agostino Ciampelli e bottega, quello a sinistra da Pietro da Cortona. I due sono autori anche delle tele nelle cappelle delle navate laterali.

All’uscita, presso l’ingresso, una colonnina in marmo rosso antico è indicata come quella a cui fu legata la martire per subire la flagellazione. Anch’essa è protetta da una bella grata berniniana. Oggi questa chiesa, eretta a parrocchia dal 1953 e officiata dai religiosi Figli della Sacra Famiglia, è stata riportata a nuova vita dai recenti restauri. E ora tocca provvedere anche al dito di Bibiana.

 

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