Santa a Orgosolo
Essere santa ad Orgosolo, cittadina della Barbagia. Da sempre in questa regione del Nuorese ricca di testimonianze megalitiche e del periodo nuragico l’economia si è basata per lo più su una pastorizia transumante in un territorio scarsamente popolato, ma che oggi attira molti escursionisti, appassionati di trekking, di archeologia e speleologia. Senza trascurare le attrattive offerte dai murales che a partire dagli anni Settanta hanno cominciato a invadere gli spazi del centro storico orgolese: dipinti che affrontano in genere problematiche legate alla società sarda, a figure e personalità contemporanee.
A quanti poi ricordano Banditi a Orgosolo, il bellissimo film diretto da Vittorio De Seta nel 1961 con attori locali non professionisti, il comune barbaricino evoca, unitamente a spettacolari paesaggi naturali, a usanze ancestrali e a costumi di gran fascino, il fenomeno sociale del banditismo trascinatosi col suo corollario di faide sanguinose fino ad epoca recente.
Sopravvivono qui antiche tradizioni paesane come le corse equestri del 15 agosto in onore dell’Assunta, la bachicoltura e la tessitura e colorazione della seta con la quale veniva confezionato il copricapo del costume femminile. Molto vivo, tra le espressioni artistiche, è il caratteristico “canto a tenore”, coro composto da quattro voci: solista, baritono, basso e mezza-voce.
Orgosolo è tutto questo, ma non solo questo. Al suo nome è legato anche quello di una ragazza del posto, nata il 21 giugno 1919 da famiglia modesta: Antonia Mesina. Secondogenita di dieci figli, il 17 maggio 1935 aveva lottato fino alla morte per opporsi a un tentativo di violenza sessuale da parte di un compaesano, cadendo sotto i suoi colpi di pietra nella campagna di Ovadduthai. Come mai, da un feroce episodio di cronaca nera si è arrivati il 4 ottobre 1987 alla beatificazione di questa sedicenne e al fervore dei numerosi pellegrini che vanno ad onorare le sue spoglie custodite nella chiesa parrocchiale del SS. Salvatore?
La risposta in Antonia Mesina di Orgosolo, imprescindibile opera di riferimento per tutto ciò che riguarda la giovane. Pubblicato dall’editrice Kérylos e frutto delle ricerche di Salvatore Murgia, studioso di storia della medicina, dell’infanzia e di storia locale, il corposo volume reca in copertina una delle pochissime foto esistenti della Mesina, che nel novembre 1934, cedendo alle pressioni del padre accettò, unica orgolese, di farsi riprendere dal fotografo friulano Ugo Pellis nel costume tradizionale da nubile e da sposa; costume che, indossato solo in occasione di alcune cerimonie e festività, viene ancora gelosamente custodito da molte famiglie del luogo.
Murgia introduce la vicenda della giovane martire con un excursus sintetico, ma ricco di riferimenti documentali, sul contesto ambientale, culturale e religioso del suo tempo, rifuggendo da facili generalizzazioni e da luoghi comuni riguardo al malessere di una società isolata, indomita ma piena di contraddizioni che ha visto convivere fuorilegge e persone di alto profilo morale e sociale, illegalità e santità.
Su questo sfondo che ha sicuramente contribuito a forgiare la forza del suo carattere, si svolge la breve vita di una ragazza cresciuta troppo in fretta e obbligata dalle condizioni familiari a farsi carico dei fratelli più piccoli e delle faccende domestiche: di qui le sue frequenti assenze alla messa e alle adunanze della gioventù femminile di Azione cattolica, senza tuttavia che ciò risultasse d’impedimento alla maturazione dei valori cristiani appresi alla scuola di mamma Grazia e di un’associazione il cui ruolo nel formare un laicato cattolico maturo era stato importante nella diocesi di Nuoro. Fra l’altro, proprio in anni di fascismo imperante, l’Azione cattolica aveva promosso a livello nazionale una “crociata per la purezza”. Non a caso alle socie veniva proposta la figura esemplare di Maria Goretti, uccisa nel 1902. Di tale “crociata” la sedicenne Mesina è stato il fiore più bello, ma è anche vero che all’opinione popolare il suo gesto eroico non apparve un fatto eccezionale: modesta, schiva e pudica sì, ma come altre sue coetanee orgolesi, non poche delle quali – in caso di violenza – non avrebbero esitato a comportarsi come lei.
Evidentemente c’era altro, a suffragare l’esemplarità di questa adolescente, ed era la grande capacità di sacrificarsi nel lavoro col quale concretizzava la sua totale dedizione alla famiglia. Commenta l’autore: «Il riconoscimento della sua santità perciò non era da ascriversi solamente all’estrema difesa della purezza, ma anche alla sua laboriosità, perché nel lavoro fu aggredita e nel lavoro trovò la morte».
Quel mattino ventoso del 17 maggio 1935, infatti, appena tornata da messa, Antonia si avviò in campagna a raccogliere legna per la cottura del pane. Come compagnia, dopo molte insistenze presso varie conoscenti, aveva ottenuto solo la tredicenne Annedda Castangia, futura e impotente testimone dell’aggressione fatta all’amica dal giovane Giovanni Ignazio Catgiu. Nel libro sono puntualmente ricostruiti la disperata autodifesa dell’assassino, il processo e la condanna a morte, il respinto ricorso in cassazione, la negata grazia sovrana e infine la fucilazione nel poligono di Prato Sardo il 4 agosto 1937. Senza aver fatto alcuna dichiarazione, ma avendo ricevuto i conforti religiosi.
Murgia riporta anche i commoventi versi dell’attitu, il canto rituale di lamentazione della madre di Antonia, canto fedelmente trascritto e ripetuto per molti anni dalle donne di Orgosolo, nel quale ritorna ossessivo il monito «Atentu sas pitzinnas, hando moet su ventu no andezas a linna!» (Attenzione ragazze, quando soffia il vento non andate a cercar legna!).
Già pochi mesi dopo il fatto di sangue, Armida Barelli, presidente nazionale della Gioventù femminile di Azione cattolica, coglieva ogni occasione per onorare la memoria di Antonia, segnalandola anche al papa Pio XI, che la considerava «un’altra Maria Goretti». Nel settembre 1937, mentre la diocesi di Nuoro si assumeva l’onere del processo canonico della “piccola martire”, era quasi pronta la sua prima biografia scritta da Pina Trocchi: indirizzata soprattutto a giovani lettrici, si sarebbe meritata una recensione elogiativa de L’Avvenire d’Italia: «Della Sardegna ha l’impronta perfetta e ci fa una certa meraviglia come una continentale sia riuscita a scrutare il profondo dell’anima sarda».
Da qui in poi il volume, dotato di un ricco corredo fotografico, procede per altre 173 pagine: vi leggiamo i successivi fatti relativi ai Mesina e alla causa di beatificazione, una storia dell’Azione cattolica nuorese, alcuni componimenti poetici e letterari dedicati ad Antonia, una cronologia della beata, i profili dei principali personaggi coinvolti nella vicenda, le fonti librarie e giornalistiche, un indice dei nomi…. Come dicevo, un libro di sicuro riferimento, anzi “il” libro su Antonia Mesina.