Sanremo: nostalgia canaglia

La serata “Sanremo Story” amplifica le nostalgie e autocelebra la sua perduta grandeur. In chiusura anche i primi verdetti: fra i giovani vince Antonio Maggio (premiato anche dalla Giuria di Qualità e dagli inviati di radio e web-tv). Il Premio della Critica va a Renzo Rubino, mentre  Piovani e i suoi giurati premiano anche il testo de Il Cile
Antonio Maggio vince la finale giovani

La quarta serata è da sempre la più insidiosa del festival. Il rischio della noia minaccia ascolti e gradimenti, il tasso di prevedibilità sale esponenzialmente rischiando di mandare a monte i crediti faticosamente accumulati nelle puntate precedenti. Così da qualche anno il serraglio  sanremese prova ad arginare le emorragie di share con qualche variazione sul tema. Quest’anno s’è pensato di giocare sulla nostalgia chiedendo ai concorrenti di cimentarsi coi classici festivalieri. Una buona idea, giacché la Storia tende sempre a rivalutare e a nobilitare perfino ciò che un tempo s’era giudicato stucchevole o inconsistente: con le canzoni come con i personaggi.

Così, dopo gli antipasti di Cutugno e Al Bano, la quarta serata sguazza tra gli scampoli dei Sanremo che furono, regalando suggestioni antiche e affettuosi sorrisi, autocelebrando le grandeur ormai svaporate dei tempi di Baudo e di Mike (celebrati anche loro), ma proprio per questo perfette per stuzzicare ricordi e brividi malinconici. E’ anche un bel modo per offrire ai duellanti la possibilità di dimostrare ecletticità, affinità elettive, nuovi risvolti del proprio talento; così come aiuta il pubblico a valutare il reale spessore artistico dei propri beniamini.

Ovviamente la parte del leone la fanno i classici degli anni ’60 – indubbiamente l’âge d’or del Festival – a cominciare da Cosa hai messo nel caffè che apre le danze nella gustosa interpretazione retrò della Ayane. Ovviamente c’è chi azzarda spericolate reinvenzioni degli originali (come i soliti Elii con Un bacio piccolino o Gualazzi che si lancia in una rilettura molto jazzy della celebre Luce che nel 2001 consacrò Elisa), ma c’è anche chi preferisce il rispetto degli originali, rischiando però di restarne schiacciato, come è accaduto a Silvestri con il capolavoro dalliano Piazza Grande.

Quel che presto appare chiaro è che i reduci dai talent-show hanno, grazie agli addestramenti accumulati nell’arte particolarissima delle cover,una marcia in più: Mengoni, sempre più favorito per la vittoria finale, regala un’appassionante rilettura di Ciao amore ciao proposta da Tenco in quel tragico festival del ’67, mentre l’accoppiata Annalisa ed Emma stupisce e convince con una grintosissima versione di Per Elisa. C’è chi ci mette molto di suo, come l’accoppiata Marta sui Tubi & Antonella Ruggiero con Nessuno, o gli Almamegretta con Il ragazzo della via Gluck; altri, come Gazzè e l’accoppiata Molinari-Cincotti, preferiscono evitare pericolose escursioni pescando dal catalogo atmosfere e melodie molto vicine al proprio stile. In generale il livello qualitativo si conferma comunque più che accettabile.

Epperò, ancora una volta il clou della serata lo offre un ospite fuori concorso: in questo caso lo straordinario Stefano Bollani che regala al grande pubblico una fantastica performance pianistica tracimante di classe, forza comunicativa e gioiosa improvvisazione. Alla faccia di chi pensa che il jazz e gli strumentali non siano roba da televisione.

In chiusura, arrivano i primi verdetti. Nella sezione giovani trionfa l’ennesimo reduce di X Factor (si fece notare nel 2008 con gli Aram Quartet): è Antonio Maggio, un ventiseienne brindisino dalla faccia simpatica e dalla lacrima facile: la sua Miservirebbe sapere ha l’imprinting  che serve per diventare uno dei tormentoni delle prossime settimane.

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