Sanremo, che festival ci aspetta?
È tutto pronto per la più grande liturgia annuale del pop italico: scenografie e lustrini, orchestrali e ugole al vento, fiancheggiamenti web e orde mediatiche d’ogni latitudine a garantire il solito tsunami di chiacchiere su un evento assai meno importante di quel che ci vorrebbero far credere, ma comunque nevralgico per la sopravvivenza dell’ecosistema nazional-popolare nostrano. Un evento che quest’anno, dopo gli ottimi esiti della scorsa edizione, promette d’essere, più che mai uguale a sé stesso; perché così vuole la gente che di Sanremo non può fare a meno: sia chi lo produce, sia chi lo sfrutta, sia chi se lo sorbisce.
Confermato il gran cerimoniere Carlo Conti, incarnazione perfetta del bravo-presentatore-tutto-sorrisi-e-superlativi; confermata l’equipe produttiva e autorale, confermata la formula: si sa, “squadra che vince non si cambia”. Quanto ai contorni: Gabriel Garko (appena miracolato dall’esplosione della villa dov’era ospitato), la comica Virginia Raffaele e la solita bellona di turno, quest’anno la modella e attrice Madalina Ghenea; e torna il redivivo “Dopofestival” per nottambuli, quest’anno affidato a Nicola Savino, Max Giusti, e alla Gialappa’s. Tra gli ospiti spiccano le presenze della nuova star dell’hip-hop afro-transalpino Maître Gims, il sempiterno Elton John e qualche big nostrano in pellegrinaggio reverente sui luoghi dei suoi trionfi: Renato Zero, Ramazzotti, Elisa, i più volte disciolti e sempre ricomposti Pooh.
E le canzoni in gara? Anche qui l’ortodossia festivaliera verrà pienamente rispettata: otto giovani proposte di belle speranze dalle quali si spera possa emergere qualche erede dei succitati, e un cast di campioni (20, davvero troppi), assemblato come al solito nel segno di un pseudo-ecumenismo canzonettaro che mette insieme vecchie glorie (Patty Pravo e gli Stadio), un bel po’ di figli rampanti dei talent (tipo Noemi, Dear Jack, Lorenzo Fragola, Valerio Scanu, la Michielin), qualche spruzzata simil-rockettara (vedi i Bluvertigo), rari pedigree cantautorali (da Ruggeri a Neffa, passando per l’accoppiata Iurato-Caccamo patrocinata da Sangiorgi) e l’immancabile sberleffo fuori contesto (quest’anno Elio & Le Storie Tese). Chi vincerà importa poco (Noemi è tra le più accreditate, ma si sa come vanno i pronostici al Festival…); perché quel che conta a Sanremo è riuscire a lasciare il segno, e non necessariamente con una grande canzone.
Ho buttato un’occhiata ai testi: a parte qualche volenterosa eccezione “valoriale” – tipo Blu della Fornaciari, e Nessun grado di separazione della Michielin – si ravanerà per lo più tra le solite melasse sentimentali e gli smarrimenti di questi tempi sbalestrati e incupiti; a strappare qualche sorriso ci penseranno le bizzarrie di Elio e i suoi compari, scimmiottando il Ranieri di Perdere l’amore tra un richiamo a San Paolo e l’altro ai tuberi…
Di certo ognuno infilerà il suo tassellino nel gran mosaico, facendo esattamente ciò che i propri fan si aspettano: melodie mediterranee o tormentini ritmici, estroversioni partenopee o intimismi struggenti, battutine o mise esagerate. Insomma, il solito gran serraglio tra una pubblicità e l’altra: auspicabilmente privo di stucchevolezze imbarazzanti, di nani e ballerine (ci sarà Roberto Bolle, in compenso…), ma probabilmente anche orfano di momenti davvero in grado di restarci appiccicati al cuore. Questo, sulla carta: tutto il resto, chi lo vorrà, potrà scoprirlo solo immolandosi davanti ai televisori. E se pensate d’aver di meglio da fare, ritenetevi fortunati assai.