Festival di Sanremo 2024: un abbraccio estenuante
È decollato in pompa magna, circondato da un’Italietta ansimante e alle prese con problemi ben più grandi di quelli che innervano la 74esima edizione di questo grande Barnum del music-business. Che non avrà Sinner, il più universale dei nostri eroi postmoderni che ha rinunciato a questo caravanserraglio col quale c’entrava quanto un ananasso su una pizza margherita; in compenso potrebbero arrivare gli agricoltori e i loro trattori strombazzanti contro l’Europa.
Per quel che s’è visto nella serata inaugurale e quel già più che annunciato per le prossime, il menù del pokerissimo di Amadeus è quello ormai garantito dalle ultime edizioni: molti giovanotti emergenti a rappresentare il nuovo che avanza e a rafforzare l’ecumenismo transgenerazionale dell’audience, qualche vecchia gloria a sfamare gli irriducibili della nostalgia, qualche proposta messa lì giusto per far discutere, e tanti brani costruiti su misura per far ballare, divertire e funzionare in radio, possibilmente anche quando le paillettes e i bouquets di questa edizione finiranno agli archivi. E a condire il tutto, qualche spruzzata “valoriale” (ieri sera la mamma del povero Giogiò Cutolo, musicista partenopeo, ucciso da un balordo qualche mese fa, e l’appello pacifista di Dargen D’Amico), qualche promo, qualche ospitata più o meno divertente, e le solite incursioni di Fiorello, meno spumeggiante del solito, in verità.
Di questa serata d’apertura resterà innanzi tutto l’estenuante sfilata record delle 30 canzoni in gara: almeno in questo il Festivalone nostro resta un evento davvero unico al mondo. Resteranno le performance del simpatico co-conduttore Mengoni, le mise sbrilluccicanti, e il gran pinzimonio delle sonorità messe in vetrina, e anche la tenera pazzia dell’immarcescibile Loredana Bertè, vincitrice a sorpresa della prima serata: in sintesi pochi momenti davvero memorabili, ma anche poche insufficienze; come dire che molto di ciò che s’è ascoltato quest’anno riempirà l’etere italico per un bel po’ di settimane. Ma come show, tutto è parso fin troppo perfettino e prevedibile: è mancato, per capirsi, un momento tipo Tracy Chapman ai Grammy.
Quanto ai testi, s’è notato qua e là, un tenue ritorno a certa pseudo-sociologia canzonettista che era mancata nelle edizioni più recenti, anche se è ancora e sempre l’amore a far la parte del leone, come ovvio e fors’anche giusto che sia in un contesto siffatto. Tra le canzoni in gara hanno fatto capolino i problemi degli immigrati d’ultima generazione nel brano di Mahmood e in quelli di Ghali, de Il Tre e soprattutto di Dargen D’Amico; tanti, tantissimi richiami al disagio giovanile (come nei brani di Mango, di Big Mama, di Clara, di Ghali, di La Sad), riflessioni sulla condizione femminile (nel brano di Mannoia soprattutto), il bullismo, nel brano di Big Mama, la difficoltà di rapporti autentici nell’era dei social nella canzone dei The Kolors.
Un debutto al solito ipertrofico imposto dagli imperativi degli share che costringono milioni di stakanovisti divanizzati ad orari da nottambuli. Secondo i bookmakers a giocarsi la vittoria saranno Annalisa (la superfavorita) e a seguire, Angelina Mango, Geolier e Amoroso, e personalmente ci aggiungerei The Kolors come outsiders. Ma si sa, anche in questi tipi di conclavi massmediatici spesso chi entra papa esce cardinale, e in ogni caso i successi veri cominceranno ad emergere dalla prossima settimana fino a ridosso dell’estate.
Buon proseguimento, al Festival e a tutti noi.