Sanremo 2022: il boom della seconda dose
Un Festival che potremmo anche definire neoclassico. Ricordare – e a tratti scimmiottare – il passato, per sottrarsi alle multiformi inquietudini del presente. La formula e le fortune del Festival più chiacchierato d’Italia sono in fondo tutte qui, e da molti anni, sia pure con gli ovvi aggiustamenti che impongono lo scorrere del tempo e il susseguirsi delle mode. Ma questo è anche un Festival che al pari del Paese che gli sta intorno, prova a convincersi che la normalità post Covid sia ormai una realtà. Anche per questo è un Barnum più da guardare che da ascoltare, più da chiacchiera da bar che da dibattito socioculturale. Ricordare per dimenticare sì, ma cavalcando le onde del trendy e dunque correndo il rischio di lasciare alle cronache poco di davvero memorabile.
Anche la seconda dose di questo vaccino annuale s’è srotolata senza grandi intoppi, ma complessivamente noiosetta, nonostante le sciabolate zaloniche. Ha spiccato, com’era ampiamente annunciato, Elisa con la sua O forse sei tu: roba da fuoriclasse capace d’essere insieme universale e alta. Ma si sono fatti notare anche i testi eleganti ed intensi di Giovanni Truppi (l’unico cantautore vero in lizza quest’anno) e di Irama. Ora che le abbiamo ascoltare tutte le 25 canzoni in gara possiamo dire che se l’anno scorso la consacrazione dei Måneskin aveva fatto gridare a una tardiva rivoluzione rockettara, oggi tutto sembrerebbe rientrato nel solco di un placido susseguirsi di canzoni per tutti i gusti e tutte le età. Semmai emerge qua e là una propensione no-gender – o neo androgina – che di fatto riflette uno dei fenomeni più dibattuti di quest’era liquida nella quale tutti siamo immersi. Anche in questo Sanremo resta Sanremo, ovvero uno specchio – neppur troppo deformato e deformante – del mondo reale che gli gira intorno, incluso quello sempre maggioritario che lo sorvola distrattamente, o lo sberleffa, o non se lo fila proprio.
Il fatto è che se ha ragione Fiorello a dire che Sanremo è materia geriatrica (perché da tempo è l’intera tivù generalista ad esserlo), è anche vero che, flirtando con le tendenze, è riuscito a riaccalappiare una bella fetta di giovani (e dunque di mercato) che sembrava persa per sempre. Merito di Amadeus e delle sue scelte ecumeniche, ma anche di un clima sociale stremato dalle inquietudini pandemiche e voglioso, come un reduce di una guerra terrificante – più nei numeri che negli stenti, almeno qui da noi – di ricompattarsi nella spensieratezza.
Quanto alle polemiche innescate da certe provocazioni, non credo valga la pena fare il gioco di chi ogni anno prova con espedienti da due soldi a far parlare di sé mascherando la propria penuria d’idee. In questo la penso come L’Osservatore Romano (leggi qui la risposta del direttore dell’Osservatore Romano) che giusto ieri sottolineava come non ci siano più “i trasgressori di una volta”; tanto più che le vere trasgressioni richiederebbero tutt’altro coraggio e tutt’altri fini. Del resto il supermercato sanremese è sempre stato una vetrina più adatta agli opportunisti che agli innovatori, trasgressivi o meno che siano.