Sanremo 2020: duetta che ti passa

Il Festival veleggia felice e noioso verso l’epilogo della sua 70esima edizione. Per confermare gli ottimi ascolti di quest’anno, la consueta serata di duetti  - più o meno azzeccati - e soprattutto, il ritorno all’Ariston di Roberto Benigni.

Ho sempre trovato la serata dei duetti, la più interessante di questi ultimi Festival. Non solo perché la media delle canzoni che ti infilano nelle orecchie di solito s’impenna rispetto al menù proposto dalla kermesse (soprattutto per la forza evocativa dei ricordi che si portano appresso), ma anche perché è lì che meglio si può capire l’eclettismo, la creatività e dunque anche la reale caratura dei cantanti in gioco; a cominciare dalla scelta dei partner che svela ipotetiche affinità elettive, rafforza o affonda appeal, rivela background e riferimenti stilistici.

Se la seconda serata ha visto il prepotente ingresso di Gabbani e della sua coinvolgente Viceversa tra i papabilissimi per la vittoria finale (insieme a Elodie, e Vibrazioni, con i Pinguini Tattici Nucleari outsider in ascesa), la serata di ieri è vissuta sul rispolvero di alcuni evergreen nostrani riproposti dal cast di quest’anno e da alcuni ospiti più o meno azzeccati e/o sorprendenti. Ieri notte han votato gli orchestrali, e non stupisce che la loro preferenza assoluta sia andata a Tosca e alla sua rivisitazione in chiave spagnoleggiante della sempreverde Piazza Grande di Lucio Dalla. Tra le cose migliori anche Gualazzi e la Molinari con la rilettura di E se domani, Anastasio con l’inossidabile Di Cioccio della Pfm a riesumare Spalle al muro di Renato Zero, il solito Gabbani con la cutugnesca L’italiano, e il Cuore Matto rivisitato in chiave rock da Piero Pelù.

A confermare l’impronta femminilista di quest’anno, arriva anche la comparsata del supercast di Una nessuna centomila, il concertone del prossimo settembre contro la violenza sulle donne che metterà insieme le grandi stelle del nostro pop d’autore, dalla Pausini alla Mannoia. E tuttavia è quasi inutile aggiungere che il più atteso fosse il monologo di Benigni. Il vate toscano s’è preso la scena per una quarantina di minuti, questa volta incentrando la sua performance sull’“erotico santissimo” de Il Cantico dei Cantici, “la canzone delle canzoni”, nonché “la prima canzone della storia”. Una parentesi fin troppo alta e del tutto fuori contesto nell’estenuante bailamme festivaliero di quest’anno. Sicché niente standing ovation per lui.

S’è sentita la mancanza di Fiorello e delle sue gag, e fra gli ospiti ha brillato, più della signora Ronaldo, la star della tivù albanese Alketa Vejsiu con la sua rutilante carica d’allegria naive e gratitudine per il nostro Paese. Ah, se Amadeus avesse un decimo del suo ritmo… E in effetti il sipario è calato dopo le due del mattino, sfinendo finanche il più irriducibile degli aficionados, ma con piena soddisfazione dell’editore: perché gli strateghi dall’audience sanno benissimo che la dilatazione di un programma a notte fonda ha tra le sue conseguenze quasi automatiche l’alzarne lo share.

 

 

 

 

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