Sanremo 2014: la media bellezza

Tempo di primi bilanci per la 64esima edizione del Festival, che veleggia fra i marosi del presente mentre il mondo “fuori” è alle prese con tutt’altro. Le canzoni fanno da contorno a uno spettacolo punito da ascolti in netto calo (meno 9 punti di share) rispetto alla scorsa edizione
Sanremo 2014

Che dire di un Festival così? Negli anni belli Sanremo aveva il potere di fermare l’Italia: come i Mondiali di calcio o le Olimpiadi. Oggi appare solo il contorno di uno spettacolo che si svolge in un altrove mai come quest’anno lontano dal Teatro Ariston. Non è necessariamente un bene, visto quel che sta capitando in Ucraina, o il wrestling politico messo in piazza da Grillo e Renzi, o i morsi di un malessere sociale sempre più furioso.

Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire citando Shakespeare, uno che a giocare con i sentimenti e gli umori del popolo era un maestro. Prendiamo, per esempio, il battage costruito a regola d’arte per far montare l’attesa sulla performance di Rufus Wainwright. Tanto rumore per nulla, appunto. Ma che serviva a tener desta l’attenzione su un “evento” reso marginale da tutt’altre incombenze e tensioni. Rufus è uno fra i più talentuosi cantautori di successo d’ultima generazione, ma chi nei giorni scorsi ne aveva stigmatizzato certe provocazioni è caduto nel solito tranello mediatico che va regolarmente a ravanare (per usare un verbo tipicamente littizzettiano) là dove sa di trovare indignazioni talvolta anche più pretestuose. È il gioco delle parti di un teatrino dove la regola aurea continua ad essere quella del “purché se ne parli”. 

Per il resto è la solita medietà centrifugata del Fazio-style, dove tutto convive avvolto da una piacioneria ora buonista ora grondante di nostalgie transgenerazionali, ora ammantata di pseudo-progressismi trendy. Canzoni comprese, dove la media complessiva è stata certamente accettabile, vale a dire senza picchi qualitativi, ma neppure performance imbarazzanti. Con la malinconia a stravincere sull’allegria, e gli intimismi a far da tana ai rigurgiti di un clima sociale sempre più fibrillante ed ansiogeno.

Intelligente il rap reggaeggiante di Frankie Hi-Nrgy, elegante la levità della Ruggiero e quella più sanguigna di Renga, gradevole il gospel-pop di Gualazzi, suggestive le rime del De Andrè figlio, patinato il rock dei Perturbazione, gustose le citazioni sixties di Giuliano Palma. Insomma, tutto come previsto o quasi, tutto perfettamente allineato alla sanremesità faziana, tutto mediamente scorrevole e digeribile. Epperò, alla fin fine, piuttosto irrilevante di questi tempi, tanto più che questa frenetica abbuffata d’onnicomprensivismo s’è ridotta in molti casi a un’ibridità un tantinello frigida e artefatta.

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