Sanremo 2014: il rito ammosciato
Nel bene come nel male il Festivalone sanremese ha sempre avuto il pregio/difetto di mettere in piazza gli umori circostanti. Lo ha fatto anche quest’anno ma, al pari di quasi tutte le altre istituzioni nostrane, ha mostrato la stanchezza e la prevedibilità di un rito ormai del tutto inadeguato se non fastidiosamente avulso ai desiderata del cosiddetto Paese Reale.
Così molti lo hanno snobbato, e chi lo ha seguito l’ha fatto con poca passione. Perché ha raccontato aria fritta, perché le canzoni complessivamente non erano granché, perché nonostante gli sforzi autorali non ha saputo rendere credibili le sue omelie laiche e i suoi comizietti. Perché non basta parlare di bellezza e civiltà per spingerci a cercala, o sbrodolare elogi sulla diversità e poi omologarsi sui cliché imperanti.
Un festival garbato ma noiosetto soprattutto quando ha voluto autopromuoversi, pontificare, o celebrare con troppa enfasi la storia della tivù. Fazio, al pari di un qualunque Mollica balconato, ha sciorinato superlativi per tutto e per tutti, come se i telespettatori non sapessero che il sottotesto dei suoi tripudi era in primis quello di elogiare se stesso e la forza di un format capace, almeno nelle intenzioni autoriali, di coniugare cultura alta e bassa, estroversione e riflessivismo, senso civico e divertissement di massa.
Intendiamoci, domare Sanremo è impresa proporzionalmente difficile alle complicanze del circondario; è una brutta bestia, che a volte ammoina, e un attimo dopo è pronta a sbranarti. Eppure qualche bella emozione l’ha regalata anche quest’anno: come il simpatico coro a cappella sbucato dalla platea giovedì sera, come qualche emergente di buon talento (vedi Zibba e il succitato partenorapper positivista Rocco Hunt), qualche canzone comunque degna di sopravvivere all’usura di questi giorni, o la gran performance di Crozza nella serata finale.
Insomma se per molti quest’anno Sanremo è caduto in disgrazia, l’ha fatto senza farsi – e farci – troppo male. Come certi potentati che tutt’a un tratto si ritrovano all’angolo senza sapere bene che cos’abbiano fatto di così male per trasformare le ola in pernacchie. Si può far finta di niente, o mettere il broncio, o magari far tesoro del flop (d’idee più che d’ascolti) e rilanciarsi con un bel bagno di umiltà. Ma per intanto anche quest’anno “la sua musica è finita”. Avanti il prossimo.