Sanremo 2013: allegro con brio

Coi verdetti finali (la vittoria di Mengoni e gli strameritati riconoscimenti di contorno ad Elio & Le Storie Tese) s'è chiusa la gran fiera annuale della canzone. Al di là del bilancio indubbiamente positivo per qualità e ascolti (i migliori dal 2000), proviamo a tirare le somme
Marco Mengoni

«Mentre il mondo cade a pezzi, m’allontano dagli eccessi», recita il ritornello de L’essenziale, la canzone regina del Sanremo numero 63: una sintesi così perfetta per descriverne l’essenza, che gli autori potrebbero essere gli stessi che ne hanno dettato la linea.

Ma quest’anno il Festival non l’ha vinto soltanto  Marco Mengoni,questo ragazzone viterbese dall’ugola moderna e possente. A gongolare sono in molti, a cominciare dall’accoppiata Fazio-Littizzetto: senza strafare né stravolgere, ma con levità, autoironia, e humour (da Sandra & Raimondo del terzo millennio), i due hanno accompagnato l’estenuante tran-tran festivaliero aiutandoci a metabolizzarlo senza effetti collaterali. Anche per questo appaiono ovvi non solo gli inviti plebiscitari a bissare, ma anche i pressing per farli traslocare in pianta stabile sulla rete ammiraglia, magari insieme a Crozza. E ha vinto la musica, finalmente: quella spesso sublime offerta dagli ospiti, e quella delle canzoni in gara, mai come quest’anno degne degli investimenti discografici.

Han vinto gli esilaranti, ma raffinati sberleffi di Elio e le Storie Tese (secondi, ma trionfatori virtuali di quest’edizione), che consegnano alla piccola storia sanremese un gioiellino come Canzone Mononota. Ma escono rafforzate nelle loro carriere, e dunque anche sui mercati, le migliori firme in mostra quest’anno: Silvestri, Cristicchi, Gualazzi, Gazzè, o alternativi di grandi potenzialità come Marta sui Tubi, o ancora i definitivamente sbocciati Modà, anche loro sul podio. E hanno vinto quasi tutte le nuove proposte: oltre al trionfatore Antonio Maggio molti di loro han dimostrato d’aver tutto ciò che serve per non finire nel dimenticatoio nel giro di qualche settimana. Paradossalmente, ha vinto anche X Factor la cui carrettata di reduci ha ulteriormente rassodato il trend sempre più evidente che vuole i talent-show via maestra (se non obbligata) del nuovo pop di massa.

Ma ha vinto, e per una volta davvero, anche Mamma Rai (intesa come servizio pubblico più ancora che come azienda), finalmente capace di coniugare anche in quest’ambito impestato qualità e sobrietà, leggerezza e briciole valoriali, coriandoli e sostanza, budget e ascolti. Non è certo il caso di gridare al miracolo, ma con l’andazzo attuale c’è già di che esser contenti.

Intendiamoci però: c’è anche chi questo festival l’ha perso. Per esempio quanti, come il Movimento Italiano Genitori, speravano in un maggiore equilibrio su temi particolarmente delicati: «Se il Festival di Sanremo è un’agorà per la promozione di nuove istanze sociali – ha giustamente affermato la presidente Maria Rita Munizzi – occorre aprire le porte anche per la difesa dei diritti delle famiglie, costituzionalmente riconosciuti e ripetutamente calpestati». Ha perso chi auspicava qualche sottinteso sessocentrico in meno. Ha perso chi sperava che il festivalone continuasse ad essere un’alternativa più che un traino dei talent-show. Ha perso chi sperava in una cura dimagrante ben più radicale. Ha perso chi, come il qui presente, ne aveva per anni profetizzato o invocato l’epitaffio. 

Okay. La tregua imposta dal voluttuario canzonettaro alle urgenze del presente sta già svaporando, restituendoci il solito baillamme mass-mediatico nevrotico, sterile, e ingolfato di luoghi comuni. L’augurio e la speranza è di non trovarci, fin da domattina, a rimpiangere il pacioso gorgheggiare e le evanescenti boutade dell’Ariston.

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