Sanremo 2012. Naufragando a vista

In attesa del Festival nazional-popolare. Tra glorie vecchie e nuove.
Sanremo 2012

Stavolta preferisco parlarne prima. Senza i dati d’ascolto sui quali disquisire, senza la sbrodolata di inutili verdetti; senza nemmeno aver ascoltato gran parte delle canzoni, del resto da anni più che mai accessorio al carrozzone festivaliero.

Ciò non vuol dire che non si possa già dire che Festival sarà. Perché Sanremo è Sanremo o, se preferite, è come quel sempiterno sabato del villaggio (globale, in questo caso), dove l’attesa è infinitamente migliore della festa, e le chiacchiere fan più notizia della sostanza (basti pensare alle polemiche circa l’imbarazzante compenso offerto a Celentano e al suo strombazzato annuncio di volerlo devolvere in beneficienza).

Che sia anacronistico lo diciamo in tanti, ma da così tanto tempo d’aver il sospetto di continuare a non capire come gira davvero il piccolo mondo dello show business. E lo stesso vale per altri aggettivi, ormai corollario immancabile delle più recenti edizioni: pomposo, eccessivamente costoso, troppo gonfio di pubblicità, incapace d’esprimere il volto autentico della realtà sociale circostante. Tutto lascia supporre che sarà così anche quest’anno, e c’è perfino un che di rassicurante in questa sua invariabilità, specie di questi tempi, mentre tutt’intorno ringhia una crisi che si teme o si spera epocale.

 

Sanremo del resto, questo è sempre stato, e questo ancora promette; e vedremo se i suoi nuovi puledrini sapranno reggere il confronto con quelli appena sfornati dalla concorrenza. Qualcuno magari riuscirà a lasciare un piccolo segno, conquistandosi così il diritto a qualche altro mese di crociera: su questo mastodonte sfavillante e caciarone, ma – al pari di quell’altro ben più tragico – guidato da comandanti troppo poco coraggiosi e previdenti per scampare al più ridicolo dei naufragi.

Certo è che il cast non promette grandi sorprese, neppure dai prevedibili populismi del Molleggiato. Un menù assemblato mischiando come al solito tradizionalismo e scaglie di novità, stucchevolezze pop, giovanilismi artefatti e attese rentrée; sperando in qualche lampo d’autore (Bersani? Finardi? Chiara Civello? Marlene Kuntz?) e qualche stuzzicante duetto. Tranquilli: se ne parlerà comunque poco di questo pinzimonio incongruo, almeno a confronto del contorno d’ospiti assortiti che al solito faranno la differenza (di share, soprattutto), decretando questa sessantaduesima edizione un trionfo, o un tracollo, o più probabilmente solo un mesto traghetto per la prossima.

Mal che vada, il Sanremone nostro potrà sempre appellarsi alla signora Fornero: ché gli spetterebbero pur sempre altri tre anni, prima di godersi la pensione…

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