Sanità pubblica, un cammino travagliato
Nella ricostruzione delle vicissitudini del Servizio sanitario nazionale, tra riforme e controriforme, siamo arrivati (nella prima parte) alla guida del ministero dal 1989 al 1993 da parte del liberale Francesco De Lorenzo, dimessosi in seguito a vicende giudiziarie legate all’epoca di “mani pulite”
Cade il Governo ed il nuovo Governo Ciampi, per evitare i referendum abrogativi, varerà, il DL 517/93, del 7/12/1993, in cui l’articolo 9 è rimosso e sostituito con un altro dedicato a “Forme integrative di assistenza sanitaria”. Il Dl 517/93 salva i principi su cui era stato fondato il Servizio Sanitario Nazionale ed evita la nascita di un vero SSN privato parallelo.
L’ultimo grande passo legislativo sarà, a fine decennio, la Riforma TER, DL 229/1999. La “Riforma Bindi” tenta di mediare tra le spaccature fra la prima e seconda riforma sanitaria e mette a frutto l’esperienza dei primi vent’anni di SSN; tenta di risolvere contraddizioni, ambiguità e problemi nati dalla messa in atto dei principi della riforma del ’78 e quelle del 92 e 93.
La Riforma Bindi, riforma “Ter”, è quella che dà il volto più attuale all’odierno SSN, ribadisce i principi di tutela del diritto alla salute, la programmazione sanitaria ed i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) definiti in modo uniforme dal Piano Sanitario Nazionale; valuta con rigore la distribuzione delle ingenti risorse finanziarie che il SSN impiega, introduce moderni concetti come l’accreditamento istituzionale delle strutture, private e pubbliche; dà un definitivo avvio al programma di formazione continua del personale (ECM) già previsto dal DLgs 502/1992. La Riforam Bindi soprattutto fissa limiti chiari ed anche rigidi all’esercizio dell’attività professionale pubblica e privata.Continuerà sempre, però, la battaglia contro la natura universalistica del Ssn.
Nel 2008 Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro di Berlusconi, scrive nel suo Libro Verde (poi Libro Bianco): “A costi elevati corrisponde una bassa qualità dei servizi offerti” [cosa non vera dappertutto n.d.r.], con “estese aree di inappropriatezza”. L’esponente politico arriva a proporre che si eviti “una ulteriore espansione dell’intervento pubblico” e si sviluppi invece un “pilastro privato” con l’introduzione di “diverse forme di mutualità fra privati, realizzate attraverso la bilateralità, le assicurazioni private o le forme miste, i fondi sanitari complementari” (3).
Più recentemente il presidente di Confindustria Squinzi chiedeva ancora, nel 2014 “la sostanziale privatizzazione della sanità”. “Organizzare un secondo pilastro privato e integrativo”, per “bilanciare la composizione della spesa e rendere più efficiente il sistema sanitario nel suo complesso”. Come dire: costringere i cittadini a sottoscrivere assicurazioni sanitarie private per avere, a pagamento dai privati, quello che man mano il pubblico non passerà più.
E così, tra croniche liste d’attesa ed eccellenze inedite, prosegue la vita della brillante sanità italiana nell’eterno conflitto tra l’idea della salute come diritto primario del cittadino o come merce e della sanità come fonte inesauribile di profitto.