Sanità mentale e felicità

Come vivere con autenticità il “sentimento comunitario” ed essere connessi agli altri
(AP Photo/Antonio Calanni)

Un direttore spirituale una volta mi chiese di spiegargli come si dovrebbe esprimere la “sanità mentale” in una persona credente. Risposi che sarebbe opportuno parlare di “maturità integrale”, e questo perché in un credente sono presenti due qualità esistenziali: la “maturazione mentale” e l’“integrazione interiore”.

Maturazione mentale
Esistono tre atteggiamenti alla portata di chiunque:
1) Pensare positivamente. San Francesco diceva: «Fai attenzione a come pensi e come parli, potrebbe trasformarsi nella profezia della tua vita». Grazie alle neuroscienze oggi si sa che i pensieri positivi agiscono sulla salute corporea, per esempio rafforzando il sistema immunitario;
2) Ricordarsi sempre di ringraziare. Se siamo consapevoli della gratitudine, si creeranno sempre più situazioni per le quali potremo esser grati.
3) Attenti a lamentarsi. Se troviamo da ridire su tutto, attiveremo situazioni difficili, sgradevoli, pesanti, faticose, cadendo in un atteggiamento vittimistico che toglie energia e slancio di vivere.

Integrazione interiore
Due casi paradigmatici. Il primo riguarda un amico sacerdote psicologo, il quale, dovunque andasse, si presentava sempre col sorriso sulle labbra e con questo stile gioioso metteva tutti a proprio agio, ma soprattutto faceva sentire tutti importanti. Un giorno gli chiesi quale fosse il segreto del suo continuo sorridere nell’accogliere tutti, e lui mi rispose con un volto serio che non gli avevo mai visto prima: «Il segreto è che dentro di me ci sono molte croci». Il secondo caso riguarda la poetessa Ella Wheeler Wilcox, non credente, la quale scrisse questi versi poetici: «È abbastanza facile essere divertenti, / Quando la vita scorre come una canzone. / Ma l’uomo di valore è colui che sorriderà / Quando tutto andrà veramente male».

Ella Wheeler Wilcox
Ella Wheeler Wilcox

La cosa interessante è che quando sono presenti sia la maturazione mentale che l’integrazione interiore, allora tutti i credenti (e spesso anche i non credenti), più o meno consapevolmente, sono nelle condizioni di cogliere la profondità psicologica delle parole paoline: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2, 20).
Infatti si può parlare di crescita sana e armoniosa della persona matura integralmente quando si vive l’auto-trascendenza che è auto-oblio, cioè dimenticare se stessi, ovvero non essere centrati sull’Io, ma su qualcosa di più grande che ci trascende. Per vivere con autenticità, è necessario far vivere dentro di noi non tanto l’Io che è limitato, non tanto la mente condizionata che tende a separare ed è soggetta alla paura, ma qualcos’altro che invece è illimitato, il “Sé” dove la mente è incondizionata e tende a unificare perché in essa vi regna l’amore.
Vivere il “Sé” comporta un’abdicazione dal guidare la nostra vita, in cui si molla la presa dell’Io con cui teniamo il volante di noi stessi, per lasciarci trasportare leggeri e senza pesi dalla corrente della vita. E una volta che mettiamo Dio al posto del nostro Io, allora senza volerlo siamo nelle condizioni ottimali per capire a livello psicologico il comandamento del Cristo: «Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi» (Gv 13, 31).

Lev Tolstoj
Lev Tolstoj

In altri termini, è fondamentale mettersi a vivere il cosiddetto “sentimento comunitario”, nell’andare incontro all’altro per comprendere quello che si agita nel suo cuore, ben disposti a stargli accanto nella sua pena senza più difenderci da lui.
In fondo si tratta di riconoscere che, pur essendo diversi, a un livello profondo c’è qualcosa di universale che ci accomuna, come diceva lo psicologo William James: «Siamo come isole nel mare, separate in superficie, ma connesse in profondità».

Esiste una strategia efficace per sperimentare questa “connessione profonda”, ed è quella di trasmettere agli altri ciò che desideriamo ricevere da loro, traducendo così in chiave psicologica la frase evangelica del: «Date e vi sarà dato» (Luca 6, 38).  Anche nella peggiore delle ipotesi, che l’altro da noi amato non ricambi, se “dai” amore, perché tu stesso hai bisogno di amore, tutto ciò che farai avrà come fine ultimo l’appagamento del bisogno d’amore presente nel tuo bambino interiore, ma anche e soprattutto in quello degli altri. Quindi si sperimenteranno vere le parole del grande scrittore russo Lev Tolstoj: «La felicità sta nel darla».

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