Sanità, la dura vita dell’alta montagna
I tagli hanno ripercussioni maggiori sulle aree più in difficoltà: il caso della provincia di Belluno
Il 2012, si sa, è tempo di tagli; e uno dei capitoli più sensibili sotto questo profilo è quello della sanità, non tanto per l’entità delle decurtazioni, quanto per gli effetti che queste possono avere sulla collettività. Ne sanno qualcosa in provincia di Belluno, dove da mesi è in corso un confronto serrato con l’amministrazione regionale in vista dell’approvazione del nuovo piano sanitario.
Il precedente piano 2006-2009 aveva riconosciuto, sulla base di leggi regionali approvate negli anni Novanta, alcuni bisogni specifici del territorio montano: in particolare aveva quantificato i costi aggiuntivi della gestione del sistema sanitario nella misura del 25 per cento – con corrispondente aumento dei fondi –, e un aumento dei posti letto per acuti in deroga dell’uno per mille. Specificità che però non sono state riconosciute nel testo finale del piano, nonostante siano appunto previste per legge e già incardinate nelle tabelle di budget della regione. Detto in cifre, significa perdere 30 milioni di euro di finanziamenti, e 360 posti letto su 1100 attualmente disponibili in provincia.
Le più colpite sarebbero le cliniche di alta montagna, destinate alla scomparsa o a trasformarsi in semplici ambulatori se verrà applicata la “quota” di un ospedale ogni 200 mila abitanti: l’intera provincia ne conta 214 mila – sparsi su un territorio di oltre 3 mila km quadrati –, per cui i conti sono presto fatti. Un gruppo di comitati cittadini e associazioni – dall’Avis, alle consulte giovanili, al Soccorso alpino – si sono così attivati per informare e sensibilizzare la popolazione: e il 26 gennaio saranno a Venezia per un corteo da Piazzale Roma a Palazzo Ferro Fini, sede della Regione, dove una delegazione incontrerà il presidente del Consiglio regionale e i capigruppo. «Il nuovo piano sanitario – spiega Guido Trento, uno degli organizzatori e “consulente tecnico”, avendo seguito per vent’anni i piani sanitari regionali – non riconosce nulla alla montagna, che già è in sofferenza: sono stati tagliati diversi reparti ospedalieri, per cui ci troviamo con la prospettiva di non avere né una pneumologia né una gastroenterologia in tutta la provincia. Dal 2009, tra Belluno e Feltre, abbiamo perso 16 milioni di euro, mentre alcune Asl di pianura hanno visto il loro budget aumentare».
Il confronto con l’amministrazione regionale era iniziato alcuni mesi fa su toni cordiali: «Inizialmente c’era stata disponibilità a mantenere queste deroghe – prosegue Trento – ma poi sono misteriosamente sparite dal testo elaborato in Commissione. Così abbiamo chiesto un altro incontro, che sarà preceduto da quello che vogliamo sia un corteo silenzioso ed ordinato». Le richieste dei bellunesi sono già state riassunte in alcune proposte di emendamento: non solo il ripristino dei fondi e dei posti letto aggiuntivi, ma anche «un rapporto tra ospedale e territorio più forte, ed alcune proposte concrete per l’assistenza agli anziani, alle persone non autosufficienti e alle famiglie». Nonostante una cittadinanza che inizialmente appariva lontana dal problema, le adesioni sono in crescita, e gli organizzatori contano di portare a Venezia circa 500 persone.
Intanto la popolazione si arrangia: «Ad Agordo – riferisce Enrico Faranzena, responsabile dell’organizzazione per l’Agordino – abbiamo sempre avuto un ospedale in grado di gestire le emergenze 24 ore al giorno: ma ormai da un anno, anche se sulla carta rimane tale, non è più così». A garantire il pronto soccorso nelle valli sono gruppi di volontari quali la Croce verde e la Croce bianca, che «sono realtà valide, ma stanno diventando la colonna portante invece che un sostegno a quello che dovrebbe essere il sistema sanitario pubblico». Certo, una dose di sano realismo rimane: «Siamo consapevoli che ci sono tagli da fare – ammette Faranzena – e che è facile sostenere che a fare sacrifici debbano essere gli altri: ma realtà come queste davvero non possono perdere niente».