Sanità in positivo
Margherita è una signora bruna, dignitosa, madre di famiglia. Oncologa di professione. “Per scelta. Fin da ragazza volevo dedicare la vita agli altri. All’università poi ho incontrato un professore, un oncologo di fama internazionale che mi aveva affascinato con il suo progetto: curare più che la malattia il malato, perché anche la terapia deve essere in funzione della singola persona e non viceversa “. Parole che Margherita non ha più dimenticato. Il reparto dove lavora è notoriamente difficile. “Da noi ci sono i malati cronici, quelli continuamente sottoposti a controlli o a cicli di chemioterapia e a volte quelli che finiscono qui la vita”. Come medico e come cristiana convinta, Margherita si butta in questo lavoro stressante ma entusiasmante: “Ricordo il caso di una donna giovanissima, ammalata di tumore. Aspettava un bambino; e, come succede, le veniva consigliato di interrompere la gravidanza, perché il neonato non nascesse contagiato. Sono stati giorni di ansia, di paura, di sospensione: della giovane donna, ed anche mia, perché si trattava di starle accanto, e aiutarla a prendere la decisione giusta in libertà. Per lei era quella di tenere il bambino, pur dovendo sottoporsi alla chemioterapia. Ho cercato di sostenerla per settimane, accompagnandola poi in sala parto: incredibile, ma il bambino è nato sano. Si può immaginare la gioia di questa persona e di noi che avevamo sostenuto con lei la sua scelta coraggiosa”. Margherita però a volte si sente sola, desidererebbe incontrare qualcuno con cui lavorare con questa idealità: non guardare al malato come ad un caso fisico o economico soltanto, come può succedere spesso, ma come ad una persona “completa”. “C’era nel mio ospedale, assolutamente laico, una carenza di spiritualità. Casualmente, incontro Giovanna, un’assistente sociale con cui c’è un buon rapporto. Ci si confida su cosa intendiamo per assistenza al malato e capita di scivolare facilmente nell’analisi delle disfunzioni in ospedale: carenza di personale, voglia di esser efficienti professionisti e nulla più, interesse puramente materiale al malato. Tutto vero. Però, le propongo: perché non valorizzare il positivo che pure esiste? Ma non saranno forse i malati stessi, quelli che tutti i giorni incontriamo, con i loro problemi psicologici, le logoranti terapie quotidiane – logoranti per loro e anche per noi che li assistiamo – ad essere qualcosa da valorizzare, perché ci “costringono” di fatto ad un tipo di assistenza diversa, più attenta agli stati d’animo e alle esigenze familiari?”. Entrambe, finiscono di ricordarsi il consiglio di un vecchio primario ai giovani medici: saper ascoltare i pazienti, andarli a trovare anche fuori dello stretto orario di servizio. “Mentre ancora stavamo parlando – continua il racconto di Margherita – mi viene in mente un’idea: incontrarsi fra operatori sanitari per parlare di assistenza al malato al di là del puro dato fisico. Con una buona dose di incertezza, lanciamo in giro la proposta, appendendo da ogni parte locandine, per questo incontro dal titolo impegnativo “Umanizzazione dell’assistenza ospedaliera in oncologia”: un confronto di esperienze, più che un dibattito, secondo il nostro pensiero. Al pubblico – più numeroso del previsto – riusciamo a far accogliere alcune proposte: evidenziare il positivo che già esiste in ospedale per potenziarlo, e non solo denunciare le omissioni. Dialogare apertamente fra noi tutti operatori sanitari per il bene “completo” dei pazienti, anzi coinvolgere quest’ultimi nel nostro tentativo di darci tutti una mano, pazienti e operatori, senza strutture veriticistiche, ma solo come un gruppo spontaneo, per la cura integrale del malato”. Una bella scommessa, non facile, anche per i dubbi sull’iniziativa da parte della Direzione sanitaria. “Eppure, questo lavoro di condivisione che continua tuttora, ha dato risultati importanti. È successo con una ragazza, Elisabetta, che io visitai: diagnosi, un tumore. Era una mia amica, diventava molto difficile per me comunicarle l’esito. Entrambe, lei e io, siamo cristiane, ci è venuto spontaneo pensare che anche questo malanno, per quanto duro, nascondeva sotto l’amore di Dio: ma accettarlo, non era una cosa così immediata. Da parte mia, ho fatto l’impossibile per aggiornarmi sulla sua malattia, proporle di andare a fare un trattamento su questo raro tipo di tumore in un centro specializzato. Poi, Elisabetta viene ricoverata nel nostro reparto: ed è qui che la forza del “gruppo” fa il suo primo effetto, perché l’atmosfera è cordiale, familiare, la malattia e le cure diventano sopportabili. Tanto che una anziana signora lascia a volte la sua bombola d’ossigeno per venire a respirare questo clima addirittura gioioso che si trova in camera. Una ragazza, ostile al trattamento chemioterapico, vedendo la serenità di Elisabetta, accetta alla fine di sottoporvisi. Da parte dei colleghi poi c’è una attenzione maggiore allo stato d’animo di Elisabetta: il primario, al momento giusto, la orienta psicologicamente in maniera positiva sugli effetti della chemioterapia. Che, stranamente, non lascia gli effetti collaterali gravi che si pensava. Oggi lei è guarita e ha cominciato una vita effettivamente nuova”. Ma le storie sono davvero tante, ecco quella di una giovane donna, una madre disperata “e arrabbiata per il rinnovarsi periodico del tumore. Per me – riprende Margherita – era una paziente difficile: contestava ogni cosa, rifiutava l’aiuto, non accettava la malattia. Con Elisabetta, quando era ancora malata, si andava a trovarla, ascoltandone gli sfoghi, cercando di essere pazienti e comprensivi. Anche gli operatori medici facevano la stessa cosa. I momenti pesanti si sono alternati a quelli più speranzosi per lungo tempo, con gli alti bassi dello scoraggiamento e della paura. Ma alla fine, al momento della morte, questa madre ha ritrovato la pace con Dio ed è morta, come ci eravamo promesse, mano nella mia mano, con attorno il marito e i familiari”. Le iniziative di Margherita e dei suoi amici continuano tuttora. “Per facilitare l’operato del centro di accoglienza, il nostro gruppo ha preparato un libretto illustrativo e informativo con le notizie fondamentali per l’accesso, il transito e la permanenza nei diversi servizi e reparti ospedalieri. Si è poi lanciata l’idea di un corso di formazione per operatori sanitari sul tema dell’umanizzazione e della qualità dell’assistenza in oncologia”. Come si vede, non è poco per una struttura sanitaria pubblica. C’è dunque qualcosa di positivo, anche oggi, nel mondo della sanità.