Sangue, proteste e condoglianze

7 giorni, 7 notizie poco conosciute: Bangkok e il voto rimandato, le condoglianze di Pyongyang, Beirut senza presidente, il Mali e la faticosa riconciliazione, sangue in Centrafrica, manifestazioni riprese a Caracas, la richiesta d’estradizione di Gülen ad Ankara
Sono riprese le manifestazioni anti-governative in Venezuela

Mercoledì 23 aprile: Bangkok, si allontana il voto

La commissione anti-corruzione ha concesso altre due settimane al primo ministro Yingluck Shinawatra per potersi difendere dinanzi alle accuse che l’hanno raggiunta negli ultimi mesi. Quindi la commissione elettorale ha confermato che, stanti le leggi vigenti, non è possibile ipotizzare una tornata elettorale prima di fine giugno. I movimenti pro e contro il premier, sorella del “gigante dei media” Thaksin, rimangono sulle loro posizioni. Per il momento sono stati evitati nuovi scontri.

Giovedì 24 aprile: Pyongyang, Seul e il traghetto

Piccolissimo segnale di disgelo tra le due Coree: tramite la Croce Rossa, il governo del Nord ha porto le sue condoglianze al Sud dopo il tragico naufragio del traghetto che trasportava giovani e giovanissimi in gita scolastica, e che ha fatto circa 300 vittime, tra morti e dispersi. Il segnale positivo è accompagnato da altri segnali di segno opposto, come le nuove manovre militari che il Nord vuole intraprendere a ridosso della linea di demarcazione.

Venerdì 25 aprile: niente presidente in Libano

Votazione per l’elezione del nuovo presidente, che come si sa viene eletto dai parlamentari e che deve essere, secondo la Costituzione, un cristiano maronita: Samir Geagea ha ottenuto 48 voti, contro gli 86 necessari; 16 li ha ottenuti Henri Helou, candidato del leader druso Walid Jumblatt, e uno solo una vecchia conoscenza della politica libanese, Amine Gemayel. Ma 52 deputati hanno votato scheda bianca. Prossima votazione il 30 aprile.

Sabato 26 aprile: il Mali e la riconciliazione

Il governo maliano, Paese attraversato da più di due anni ormai da una guerra intestina, concentrata nella regione settentrionale del Azawad, non ha ancora ritrovato la conciliazione nazionale. Così è stato nominato “alto rappresentante per il dialogo inclusivo intermaliano” l’ex premier Modibo Keïta, solo omonimo del presidente Ibrahim Boubacar Keïta. Dall’accordo preliminare di Ouagadougou, nel giugno 2013, non sono infatti stati fatti passi avanti nella conciliazione tra ribelli del Nord e governativi.

Domenica 27 aprile: strage in Centrafrica

22 morti, almeno, sono il bilancio di un vile attacco contro un ospedale di Medici senza frontiere a Nanga Boguila, 450 chilometri a Nord della capitale Bangui. Responsabili dell’attacco sono i miliziani della Seleka, coloro che avevano deposto il presidente Bozizé, prima di essere costretti loro stessi a lasciare il potere usurpato. Seleka, nata come organizzazione non confessionale, si è via via avvicinata alla galassia fondamentalista islamica, mentre i “gruppi di autodifesa anti-balaka” sono ormai vicini alle etnie cristiane. La capitale è sostanzialmente in mano a questi ultimi, portando tanti musulmani a lasciare Bangui.

Lunedì 28 aprile: riprendono le proteste in Venezuela

Nonostante il tentativo di riconciliazione in atto, sono riprese le manifestazioni dell’opposizione contro il presidente Maduro e il suo esecutivo. Questa volta oggetto delle proteste è la riforma del sistema educativo, ma anche una sentenza anti-manifestanti formulata dal Tribunale di giustizia, che sostiene come ogni manifestazione debba essere autorizzata dalle autorità competenti.

Martedì 29 aprile: Gülen estradato?

Un’ulteriore inasprimento della situazione politica in Turchia è dato dalla richiesta annunciata dalle autorità di Ankara a quelle di Washington di estradare il leader religioso sufi Fetullag Gülen per ingerenza in fatti giudiziari relativi alla corruzione governativa, per aver cioè sobillato dei giudici a indagare su fatti che hanno poi portato alle dimissioni di tre ministri. Dopo l’oscuramento di Twitter e di altri motori di ricerca, dopo la prova di forza delle elezioni politiche amministrative vinte da Erdogan, la mossa del primo ministro pare voler portare alla rottura.

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