Sangue infetto, Italia condannata

La Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha stabilito che lo Stato italiano dovrà risarcire i pazienti contagiati da Hiv ed epatite B e C in seguito a trasfusioni, emoderivati e vaccinazioni obbligatorie praticate con sangue infetto. La soddisfazione e le perplessità dei malati
sacche di sangue

Entusiasmo sì, ma anche qualche cauta perplessità. E qualcuno teme che si tratti ancora una volta di lettera morta. Anche perché, prima che diventi definitiva devono passare tre mesi. Eppure non c'è dubbio che la sentenza della Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo non è solo un'altra importante vittoria, ma rappresenta una decisione storica nella lunga battaglia intrapresa dalle vittime di sangue infetto, ovvero pazienti che, tra la fine degli anni Settanta e gli inizi degli anni Novanta, sono stati contagiati da Hiv, epatite B e C in seguito a trasfusioni, emoderivati o vaccinazioni obbligatorie fatte con sangue infetto.

Dopo quasi vent'anni di lotte e battaglie legali, la Corte ha dato ragione a 162 malati ricorrenti del Veneto – di questi 7 deceduti nel corso del procedimento – assistiti dai legali Massimo Dragone del foro di Venezia e Claudio De Filippi di Milano, che si erano rivolti a Strasburgo perché tutelasse il loro diritto all'indennità integrativa come previsto dalla legge 210/92. Secondo questa legge, infatti, chi si è ammalato col sangue infetto ha diritto a un indennizzo dal ministero della Salute composto da due parti: una fissa e una complementare. Nel 2005, una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che le due parti dovevano essere rivalutate ogni anno in base all'inflazione.

Eppure questo adeguamento e il conseguente pagamento non ci sono stati in virtù di un decreto d'urgenza, n. 78/2010, col quale è stata stabilita l'impossibilità di valutare proprio la parte integrativa. Decreto peraltro già dichiarato incostituzionale, nel 2011, dalla Corte costituzionale, ma che non ha avuto alcuna conseguenza. Su questo punto la Corte di Strasburgo, su ricorso dei 162 malati, ha stabilito che proprio quel decreto del nostro Paese ha privato di un diritto i cittadini italiani contagiati da Hiv, epatite C e B. Questa sentenza “pilota” invita soprattutto lo Stato italiano, entro sei mesi da quando la decisione della Corte europea sarà definitiva (il Governo ha infatti tre mesi di tempo per chiederne la revisione davanti alla Grande Camera della stessa Corte), a stabilire un termine perentorio entro il quale garantire l'attuazione tempestiva ed efficace dei diritti finora negati.

Fin qui la vittoria. La parte più importante riguarda però la portata più ampia che assume la sentenza che ovviamente si applicherà non solo a chi ha fatto ricorso, ma a tutti coloro che si trovano nella stessa condizione e che secondo la legge 210 beneficiano di un indennizzo.

«Io vorrei chiedere al ministero cosa pensa di questa sentenza – commenta a caldo Monica Trapella, presidente del Comitato vittime sangue infetto –, cosa pensano di fare nel futuro e se pagheranno davvero queste persone. Si tratta di 150 euro al mese per 10 anni, moltiplicato per circa 40mila persone». «Credo che sia un'altra “vittoria di Pirro” – incalza la Trapella –, perché di vittorie ce ne sono già, ma non sono state rispettate».

«La sentenza della Cedu non fa altro che ribadire quanto già detto dalla Corte costituzionale nel 2011, che aveva dichiarato l'incostituzionalità del decreto del 2010 – aggiunge Sandra D'Alessio, vice presidente Comitato vittime sangue infetto -, e stabilisce anche che lo Stato ha violati i diritti dei malati. Certo, adesso tocca vedere cosa succederà – continua – perché l'Italia ha tre mesi di tempo per impugnare la sentenza e altri sei per stabilire il termine entro cui pagare. In fondo non sarebbe nemmeno la prima volta che sentenze della Corte europea non trovano seguito nel nostro Paese. Oltretutto già dal 2011, dopo la sentenza della Corte costituzionale, il governo avrebbe dovuto pagare gli adeguamenti, ma non l'ha fatto, costringendoci così a fare in cause e anche quando le sentenze ci danno ragione dobbiamo di nuovo andare in giudizio di ottemperanza».

«I cittadini italiani infettati da trasfusioni di sangue o da prodotti da questo derivati hanno vinto la loro battaglia a Strasburgo – ha commentato con una nota l'avvocato Ermanno Zancla del Foro di Palermo, che da anni ormai si occupa di richieste di indennizzo e risarcimento delle vittime di sangue infetto –. La Corte europea dei diritti umani ha stabilito che lo Stato deve versare a tutti gli infettati l'indennità integrativa speciale prevista dalla legge 210/1992 – continua la nota –. Una somma che dovrà essere versata a tutti gli interessati circa 80 mila in tutta Italia. Lo Stato ha sei mesi di tempo per adeguarsi. Temiamo però – aggiunge preoccupato il legale palermitano – che, come già accaduto in moltissimi altri casi analoghi, lo Stato italiano non pagherà spontaneamente come avrebbe peraltro già dovuto fare. Crediamo quindi che a maggior ragione i danneggiati che percepiscono l'indennizzo debbano iniziare una azione giudiziaria per l'ottenimento di quanto ormai definitivamente riconosciuto».

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