Sanatoria chiusa. E adesso?
Scaduti i termini per regolarizzare badanti e colf, rimangono tanti interrogativi. Chi paga i costi di un sistema sociale fatto in casa?
«Scusi cosa devo fare per regolarizzare la colf che ci aiuta in casa?». Il signor Giorgio, 75 anni, e la signora Graziella, 70 anni, che da qualche tempo hanno chiesto aiuto ad una signora moldava per i lavori di casa, saputo della sanatoria, sono andati ad informarsi sulle condizioni richieste per regolarizzarla. Ad una risposta sono rimasti alquanto sbigottiti: per potersi permettere il “lusso” di una colf, devono denunciare un reddito lordo annuo di almeno 20 mila euro. «Magari li avessimo», sbottano rattristati. E come loro, chissà quanti.
Più semplice sembrava il percorso per fare richiesta di una badante. Per poter contare su una persona che accudisse gli anziani non autosufficienti bastava presentare un certificato medico dell’Asl o del medico di base che attestava la patologia dell’assistito.
Fatto sta che alla scadenza indicata per l’accettazione delle richieste di regolarizzazione sono state registrate 286 mila domande a fronte di 344 mila richieste di moduli. Come sempre un flop per alcuni, un risultato entro le previsioni per altri.
Pino Gulia, responsabile nazionale del servizio immigrazione del patronato Acli, ci aiuta nella valutazione di quanto avvenuto.
«Dal punto di vista tecnico posso dire che il collegamento diretto da parte del nostro patronato col ministero dell’Interno ha dato la possibilità di dipanare tanti problemi che si sono via via presentati. Sotto l’aspetto numerico dobbiamo registrare che le circa 300 mila richieste di regolarizzazione pervenute questa volta corrispondono più o meno alla forza lavoro che l’Italia richiede dall’estero ogni anno da qualche tempo a questa parte. Contemporaneamente, purtroppo, il decreto flussi in genere soddisfa la metà delle richieste e quindi c’è una domanda che in maniera costante ritorna. Certo è che il nostro sistema sociale si va strutturando con un supporto non indifferente da parte di stranieri alle nostre famiglie».
Previsioni numeriche disattese, sembra. Cosa avrà inciso di più, il reddito richiesto, le ore minime di lavoro previste, la paura di un esito negativo?
«In effetti, qualcuno aveva previsto che avrebbe potuto esserci una domanda molto più alta. Anche come patronato ci siamo chiesti cosa avesse potuto determinare un risultato inferiore alle aspettative. Sicuramente la richiesta di un reddito minimo di 20 mila euro per le famiglie che volevano regolarizzare le colf è stato un problema. Quante coppie di anziani non raggiungono questa cifra! Inoltre ci sono colf che lavorano presso più famiglie e non hanno potuto essere regolarizzate da un insieme di datori di lavoro».
Dunque c’è spazio ancora per l’irregolarità?
«Sì, tante famiglie in accordo con le stesse lavoratrici, hanno scelto di rimanere nell’irregolarità perché questo permette a entrambi un rapporto molto più legato alla provvisorietà, oltre che maggiori risparmi da una parte e guadagni dall’altra.
«Sicuramente un insieme di problemi che concretamente hanno rallentato l’entusiasmo nei confronti della regolarizzazione. Bisogna anche dire che è stata una regolarizzazione molto parziale che non ha tenuto conto di tutti i lavori, ma solo della collaborazione domestica».
Di tutto questo chi ne fa di più le spese?
«Si continua a sostenere che con questi provvedimenti si vuole andare incontro alle famiglie, ma non so quanto questo sia effettivo. Certamente chi oggi ne esce più sconfitto in Italia sono proprio le famiglie che devono comunque con le proprie risorse continuare a trovarsi delle opportunità e che pagano i costi di un sistema sociale, come diciamo noi, fatto in casa, lontano dalla responsabilità pubblica».
Qualcuno sostiene che con la crisi economica in corso le donne italiane sono tornate ad occuparsi di casa, bambini, anziani. Sarà vero?
«Non enfatizzerei la cosa perché le italiane stanno tornando ad occuparsi del menage familiare, cioè sistemare casa, stirare, cucinare, magari come completamento dei magri introiti della cassa integrazione. Ma il lavoro come baby sitter e badanti a tempo pieno rimane una prerogativa delle donne di altra nazionalità».
Avrebbe qualche proposta?
«Che ci si passi un po’ la mano sulla coscienza, e si apra ad una regolarizzazione, magari con tempi ristretti, anche 15 giorni, per tutti i tipi di lavoro. Questo lo dico non tanto per dare la possibilità tanto ai lavoratori e ai loro datori di lavoro di regolarizzarsi, ma piuttosto per l’uguale dignità di tutti. Altrimenti facciamo passare l’idea che ci sono dei lavoratori privilegiati, verso cui c’è una maggiore attenzione, ed altri meno».