San Pedro Sula perde il primato degli omicidi
«Vede? Guardi come stanno costruendo centri commerciali. Se avessimo ancora i problemi di prima, non ci sarebbero così tanti investimenti», dice Daniel Hernández, abitante di San Pedro Sula al corrispondente di Bbc Mundo. La capitale industriale dell’Honduras, seconda città del Paese, è stata per anni sul poco felice podio delle più violente del mondo e al primo posto dal 2011 al 2014. Ma negli ultimi anni ha registrato una spettacolare diminuzione dell’indice di omicidi, passando da 112,09 ogni 100 mila abitanti nel 2016 a 51,18 lo scorso anno. Un calo del 54,34% in 12 mesi. Ora è al posto n° 26 della graduatoria. Anche la capitale, Tegucigalpa, è uscita dalla top 25 (da 4a, è ora 35a), secondo dati ufficiali registrati dalla ong messicana Consiglio cittadino per la sicurezza pubblica e la giustizia penale (abbreviata in CcspJ, in spagnolo) e dall’Osservatorio locale della violenza dell’Università autonoma dell’Honduras.
Daniel Hernández è autista delle ambulanze del pronto soccorso, un servizio che opera a San Pedro da meno di un anno, e finora non ha trasportato ancora nessun ferito da arma da fuoco. Prima, erano i pompieri ad occuparsi del trasporto dei malati e dei feriti agli ospedali e, quando erano superati dalla mole di lavoro, lo facevano i familiari. Tuttavia, la gente per le strade non si sente ancora proprio sicurissima, perché la guerra tra le famigerate maras (bande) continua, e regolamenti di conti, sequestri-lampo ed estorsioni ai trasporti pubblici, ai tassisti e ai commercianti (obbligati a pagare la “tassa di guerra”) non sono calati. «É vero, le notizie dicono che stiamo meglio – riconosce José, venditore ambulante di dolci –, ma se prima ne ammazzavano 100 e adesso 50, non mi pare comunque il caso di rischiare di essere uno di quei 50 uscendo di notte». Non manca comunque chi dice di sentirsi più tranquillo e di poter finalmente uscire la sera. Naturalmente, sono da evitare i territori controllati della Mara Salvatrucha e i feudi della sua rivale, la 18. In alcuni quartieri, una strada fa da frontiera.
È pressoché unanime, ad ogni modo, l’opinione che uno dei fattori fondamentali nella riduzione della violenza siano i pattugliamenti e gli arresti operati della Polizia militare dell’ordine pubblico (Pmop), un corpo creato nel 2013 per far fronte al flagello della criminalità organizzata e della delinquenza in un Paese ancora in guerra tra bande dedite al narcotraffico, ai servizi estorsivi “di sicurezza” e “di assistenza ai migranti” disperati che attraversano l’America centrale diretti al Messico e agli Usa, ai sequestri e a una vastissima gamma di illeciti. Questo nuovo corpo di sicurezza non è del tutto benvoluto dalla società civile, perché più volte accusato di abusi ed eccessiva mano dura, e tuttavia è risultato efficace nella sua azione deterrente. Ed è meno proclive alla corruzione, che ha invece infestato la Polizia ordinaria. Ben 4.500 agenti sono stati epurati tra il 2016 e il 2017.
Un altro fattore che ha inciso nella riduzione degli omicidi è stato il trasferimento di numerosi capi delle maras a carceri di massima sicurezza dove non godono più di un ambiente privilegiato per continuare a muovere i fili del crimine, come invece succede sempre più drammaticamente in Paesi come il Brasile, dove nelle carceri sono persino nate potenti e violentissime organizzazioni mafiose tentacolari. Anche l’azione della Forza nazionale antiestorsioni si è rivelata efficace, riuscendo a far risparmiare in un anno ai negozianti circa 1.800.000 euro in pizzo, una cifra non trascurabile per un Paese povero e di soli 9 milioni di abitanti.
Certo, l’Honduras è un paese militarizzato. I posti di blocco nei quartieri ricordano quelli israeliani. «Secondo noi occorre mettere un limite di tempo alla Pmop – avverte Hugo Maldonado, presidente del Comitato per la difesa dei diritti umani –, perché occorrerebbe piuttosto demilitarizzare la società», anche se riconosce che in genere la cittadinanza chiede una presenza di agenti ancora maggiore. A Chamelecón, un quartiere periferico alquanto colpito dalla guerra delle maras e dalla povertà, il preside dell’istituto tecnico locale, Roger Castro, parla di un miglioramento sensibile della sicurezza, al punto che, come non succedeva da anni, quest’anno ha aumentato le iscrizioni.
La scuola si trova in una zona di confine tra territori, cosa che ha costretto ad aprire un accesso laterale per permettere un’entrata e un’uscita più sicura per i ragazzi che in questo modo non devono attraversare il territorio della mara nemica di quella che occupa il settore dove abitano. Secondo Castro c’è più tranquillità nel quartiere, e ciò si riflette a scuola, come ha spiegato a Bbc Mundo. Un dato indicativo è la notevole diminuzione degli “osservatori”, un eufemismo che indica i “reclutatori” delle maras, che solevano stare in cortile e all’entrata dell’istituto. Anche se non erano molti i ragazzi che si lasciavano tentare, Castro spiega che spesso questi sparivano dalla circolazione pochi giorni dopo.
Meno morti violente, quindi, e meno reclutamenti. Ma affinché la gente goda davvero della meritata tranquillità, la strada è ancora lunga. Occorrerebbe smantellare le bande che si dividono ancora il territorio, seminano il terrore e spingono ancora tanti honduregni a chiudere le loro attività economiche, ad emigrare o ad abbandonare i centri abitati più pericolosi. Come ha spiegato a Città Nuova il giornalista Esaú Matamoros, la polizia non ha dati affidabili che possano quantificare le minacce di morte ed altri abusi sui cittadini, né tantomeno misurarne l’impatto. Ma la diminuzione del numero delle morti violente, persino al di sotto delle proiezioni del governo, è comunque una buona notizia. Una boccata di speranza da non sprecare.