San Paolo al femminile
Chiara Lubich ha amato molti santi dei quali ha illustrato la figura e il carisma, a cominciare da Francesco e Chiara d’Assisi al tempo in cui era terziaria francescana; ma singolare è stata la sua consonanza di spirito e di missione con Paolo di Tarso. Non per niente qualcosa di unico caratterizza l’apostolo delle genti, cui si deve una parte sostanziale del Nuovo Testamento. Nessun altro santo, infatti, ha avuto una tensione all’unità come lui, il cui modello era Cristo in cui tutto si ricapitola, le cose del cielo e quelle della terra. E l’unità è il carisma che lo Spirito Santo ha affidato a Chiara.
Paolo viene spesso raffigurato con gli attributi del Vangelo e della spada, simbolo della Parola di Dio che penetra fin nel fondo dell’anima. E proprio l’amore per la Verità espressa nel Vangelo è stata la passione costante di Chiara, a tal punto da affermare: «Se mi chiedessero: “Ma tu chi sei?”, vorrei rispondere: “Parola di Dio”». In tempi poi in cui questa stessa Parola veniva letta ancora in latino, il commento che ne offriva Chiara è stato un modo popolare e sistematico di evangelizzazione su larga scala.
Il cosiddetto Trattatello innocuo, una delle prime testimonianze scritte sul Movimento nascente, inizia proprio con una citazione di Paolo: «Giacché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili. Le cose visibili sono d’un momento, quelle invisibili eterne» (2 Cor 4,18). E Chiara prosegue: «Fu il punto di partenza del nostro ideale».
C’è un brano di diario in cui lei commenta una frase tratta da un’altra lettera paolina, quella ai galati: «Parlando di Gesù, san Paolo scrive: “… e ha dato sé stesso per me”. Ognuno di noi può ripetere quanto dice l’Apostolo: per me. Mio Gesù, se sei morto per me, per me, come posso dubitare della tua misericordia? E se a quella posso credere con la fede che m’insegna che un Dio è morto per me, come posso non rischiare ogni cosa per contraccambiare questo amore?». Il “per me” di san Paolo corrisponde – così mi viene da dire – al “Dio mi ama immensamente, Dio ti ama immensamente” di Chiara: l’annuncio capace di trasformare ogni esistenza, da cui ha preso avvio il Movimento.
Numerose poi le espressioni paoline fatte proprie dalla fondatrice dei Focolari, che hanno illuminato il cammino della sua Opera. Basti pensare a: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo?… Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio… La speranza non delude… Cercate le cose di lassù… È volontà di Dio la vostra santificazione».
E a proposito di santificazione: secondo l’esegeta Gérard Rossé, la Lubich è all’unisono col pensiero di Paolo per la sua visione di una santità come “stato” nel quale si è già inseriti con la grazia del battesimo, occorrendo in esso solo crescere e perseverare, e non tanto come risultato finale di un lungo e faticoso sforzo ascetico. E ancora all’insegnamento paolino lei si riferisce quando parla di “uomo vecchio” o di “corpo mistico”, o quando esprime la necessità dell’unità di pensiero.
In tempi preconciliari in cui la carità sembrava ridotta a sinonimo di elemosina e spesso non si osava formulare la parola “amore” per timore di essere fraintesi, Chiara e i suoi primi seguaci hanno riportato la carità al suo significato originario di essenza stessa di Dio e vita dei suoi figli, così come l’intende san Paolo, che ad essa innalza un inno nella prima Lettera ai Corinzi.
Anche il “farsi uno” insegnato da Chiara ai suoi quale espressione concreta di questa carità è un esplicito richiamo all’apostolo quando scrive: «Piangete con chi piange, rallegratevi con chi è nella gioia…», oppure: «Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno».
Di scritto, prima ancora che venissero stesi i Vangeli, Paolo ci ha lasciato le sue celebri epistole, con le quali ha formato e sostenuto i credenti nati dal suo apostolato: lettere importanti non solo dal punto di vista teologico, ma anche perché riportano notizie preziose sulla vita delle prime comunità. Allo stesso modo, le lettere che Chiara indirizzava i primi tempi a persone d’ogni età e condizione sono state l’esca per suscitare i nuovi apostoli dell’unità.
Le collette organizzate da Paolo a favore della comunità di Gerusalemme mi fanno venire in mente le iniziative con cui, in tempi diversi, la Lubich ha sollecitato i suoi ad una comunione dei beni più generosa in modo da sovvenire alle necessità dei meno fortunati, fino a dar vita, nel suo viaggio in Brasile del 1991, a quella che ora è nota come “economia di comunione”.
E ancora a Paolo, infaticabile nel percorrere le strade del mondo allora conosciuto per seminare la buona novella del Vangelo, mi fa pensare Chiara che ha fatto altrettanto nei suoi viaggi nei continenti, finché le forze l’hanno assistita.
Se poi consideriamo il dialogo con le altre culture che caratterizza i Focolari – dialogo emerso col Concilio come un punto fondamentale per il percorso della Chiesa oggi –, non ha esso forse un precedente anche nell’annuncio del “dio ignoto” fatto da Paolo ai disincantati ateniesi, partendo dalla citazione dei loro dèi e poeti?
Ebreo intransigente, formato nella più rigorosa tradizione ebraica, egli, una volta incontrato Cristo, pur senza rinnegare le sue radici, ha portato la novità dirompente insita nel Figlio di Dio. Similmente, la formazione cristiana di Chiara era delle più tradizionali, conforme all’ambiente trentino del tempo. Ma proprio su quel ceppo è fiorita la rivoluzione evangelica che sul gruppo iniziale del Movimento avrebbe attirato critiche e sospetti prima del suggello definitivo della Chiesa.
Come Paolo, la Lubich è stata una grandissima comunicatrice: in lei, che ha promosso l’uso dei mass media come strumenti di evangelizzazione, s’ammira quasi una versione al femminile di questo apostolo che oggi, è stato detto, probabilmente farebbe il giornalista.
Se poi consideriamo la esperienze mistiche, conosciamo l’incontro avuto col Risorto da Paolo sulla via di Damasco. Le grazie legate a quella esperienza sconvolgente (racconta di essere stato trasportato fino al “terzo cielo”) hanno abilitato l’antico avversario della Chiesa ad affrontare l’immane sforzo di evangelizzazione con le relative sofferenze fino al martirio.
E Chiara? Sappiamo cosa è stato per lei il cosiddetto “paradiso ’49”. Da quel periodo di singolari grazie ha attinto tutta la luce, tutta la sicurezza nella guida di un’Opera tanto vasta e complessa.
Dice ancora la sintonia tra i due l’amore esclusivo per Gesù crocifisso. Al san Paolo di «Non conosco che Cristo e questi crocifisso» non sembra far eco Chiara con «Ho un solo Sposo sulla terra: Gesù abbandonato»?
Non a caso, il 18 marzo 2008, i funerali della fondatrice dei Focolari si sono svolti nella basilica romana che custodisce la tomba dell’apostolo delle genti. Per colei che il patriarca Athenagoras I chiamava affettuosamente “Tecla”, come l’apostolica collaboratrice di Paolo ricordata dalla tradizione, non poteva esserci luogo più appropriato.