San Casciano, una sorgente di tesori
Le acque termali di San Casciano dei Bagni in Toscana, rinomate per le proprietà taumaturgiche, erano considerate sin da epoche arcaiche sorgenti di forze divine così prodigiose da indurre gli etruschi a istituire in loco un santuario che ben presto acquisì nel territorio dell’Etruria un’importante funzione sociale, culturale e ovviamente religiosa.
Il santuario infatti accoglieva la pratica di riti e culti, la celebrazione di funzioni sacrali ed era meta di pellegrinaggi di tante persone che vi giungevano per omaggiare le divinità fautrici della loro guarigione o per fare voti che spezzassero il maleficio che li insidiava.
Tutto questo accadeva tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C. nell’attuale limitare estremo della provincia di Siena, ai confini con Umbria e Lazio, lì dove la natura millenaria fa sgorgare le acque termali dei Grandi Bagni del borgo di San Casciano e lì dove si erano insediati gli etruschi prima che i romani ne conquistassero il territorio.
Archeo-sinergie
La vera conquista, però, non bellica ma culturale, è quella fatta dagli odierni archeologi durante il più recente segmento di scavo stratigrafico. Cattedratici, specialisti ministeriali, esperti delle soprintendenze toscane e ben 80 studenti e studentesse di archeologia provenienti da università di tutto il mondo, operando in grande sinergia da oltre due anni stanno infatti riportando alla luce i tesori del santuario di San Casciano dei Bagni.
Architettura di un santuario
Momenti clou dello scavo, ha spiegato il ministero della Cultura (Mic), sono stati «la scoperta di un edificio di età etrusca III secolo a.C. fatto in blocchi di travertino che circondava la sorgente del Bagno Grande e il rinvenimento del temenos, cioè il muro di recinzione che racchiudeva il tempio costruito attorno alla grande vasca sacra».
Acque “miracolose”
Le predette architetture templari dunque custodivano i doni votivi bronzei, argentei e aurei, riemersi della vasca sacra, ma a preservarli quasi integri dopo oltre 2000 anni, sono state proprio le acque termali di San Casciano. Queste ultime infatti hanno temperature tra i 23° e i 43° C e sgorgano da sorgenti in alcune delle quali acqua minerale e argilla formano un fango termale naturale che oltre alle eccezionali proprietà terapeutiche per il corpo umano ha appunto preservato i reperti in tutta quell’integrità che oggi possiamo ammirare.
Voti ed ex-voti
Eccoli dunque questi reperti: vi è il bronzo di un corpo nudo maschile reciso da un taglio chirurgico dal collo al basso ventre, offerto da un uomo di nome Gaio Roscio alla Fonte Calda, come ex voto di gratitudine per la guarigione ricevuta.
È commovente la statuetta di un «bimbo augure – come lo descrivono gli archeologi –, un piccolo sacerdote della fine del II secolo a.C. e che ha un’iscrizione in etrusco sulla gambina destra, mentre nella mano sinistra ha una palla che ancora gli ruota tra le dita e su cui si vedono perfino i classici pentagoni cuciti».
Da ultimo una statua femminile con eleganti trecce che le ricadono sul petto, mentre prega devotamente le divinità termali.
La moneta della “concordia”
I reperti rinvenuti in maggior numero sono però le monete sia di età repubblicana che imperiale, più di 10.000. Spicca su tutte la moneta della “concordia”, molto verosimilmente del periodo di Nerva I sec. d.C. e su cui campeggiano due mani che si stringono cingendosi fino ai polsi in segno di concordia. È un ritrovamento il cui valore più che economico è fortemente emblematico perché testimonia lo specifico intento di romani ed etruschi di porre fine a ogni belligeranza e istaurate la concordia. È un conio emesso per Senstus consultum e che dopo circa 2000 anni porta impresso e riporta all’attenzione del mondo tutt’ora afflitto da guerre fratricide tra popoli, un messaggio forte e chiaro: la pace e la concordia devono essere tenacemente cercate, volute e perseguite. Quella moneta infatti fu l’inizio di un cammino culturale e sociale tra due popoli confinanti, etruschi e romani che a un tratto decisero di valorizzare anziché distruggere i tratti comuni delle loro religioni e su questo principio fondarono relazioni pacifiche e di stabilità economica.
La divinità “bilingue”
Significativo è anche un altro rinvenimento dello scavo di San Casciano: la base di un donario cioè di un piccolo altare dove i romani custodivano i doni votivi e che reca un’iscrizione “bilingue”. La metà destra dell’iscrizione infatti è in etrusco, una lingua che si scrive e legge da destra verso sinistra, mentre la metà sinistra della stessa è in latino e dunque va da sinistra a destra. Sono le parole con le quali si presentava ai supplici il Nume della Fonte, una statua che sicuramente si trovava al di sopra della base del donario.
Siamo al cospetto di un ritrovamento eccezionale che testimonia non solo l’uso dell’etrusco ancora all’inizio dell’età augustea, ma che ci fa conoscere una divinità “bilingue” che sta parlando contemporaneamente a etruschi e latini. È evidente che allo stesso santuario di San Casciano affluissero genti di identità etrusca e romana condividendone non solo gli spazi ma professando un credo religioso condiviso.
Da qui l’esigenza che il volere della divinità della Fonte Calda fosse espresso in modo da essere compreso da entrambi i popoli, ciascuno dei quali in nome della concordia e dell’integrazione riuscì a fare un passo indietro e concedere all’altro qualcosa di sé e della propria cultura, non già per privarsene o rinnegarle, ma solo perché due mani che si stringono e si sovrappongono apparentemente perdono il loro reciproco spazio ma in realtà trovano la forza e il vigore che solo essendo saldamente e fraternamente unite possono avere.
Ebbene se tutto questo lo avevano compreso e messo in pratica etruschi e romani che vissero oltre 2000 anni fa e che parlavano lingue totalmente diverse tra loro, cosa aspettano gli odierni popoli confinanti ancora in guerra tra loro a far “tesoro” di questo clamoroso insegnamento archeologico? Loro che tra l’altro parlano anche la stessa lingua!
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