Samir Frangieh e la rivoluzione dei cedri
Samir Frangieh, cristiano maronita, uomo di cultura, docente universitario, deputato e politico di primo piano in un momento importante della tormentata storia del Libano, si è spento a Beirut l’11 aprile scorso all’età di 71 anni. È stato uno dei protagonisti di un periodo decisivo che iniziò drammaticamente il 14 febbraio 2005, quando un kamikaze si fece esplodere a Beirut di fronte all’Hotel St. George uccidendo 22 persone, e fra loro l’ex primo ministro Rafiq Hariri, obiettivo dell’attentato e padre dell’attuale premier libanese.
Il Libano, un tempo chiamato la Svizzera del Medio Oriente, era uscito spaccato e con le ossa rotte dalla guerra civile e dalle continue incursioni israeliane, che avevano insanguinato il paese fra il 1975 e il 1990: una lotta fra cristiani e musulmani scoppiata in buona sostanza per sostenere o contrastare il disegno più o meno occulto di cacciare i cristiani dal Paese per far posto ai profughi palestinesi (al 90% musulmani). Al controllo dell’esercito siriano sul Libano che aveva consentito la fine della guerra nel 1990, era ben presto seguito un lungo periodo di “occupazione” siriana del Paese, alla quale Rafiq Hariri si era opposto.
All’indomani dell’attentato vi fu una grande manifestazione che riuscì a mobilitare milioni di libanesi: il 14 marzo 2005 gli antisiriani, e Frangieh con loro, riuscirono a raccogliere ufficialmente oltre un milione di cittadini (secondo alcune fonti si arrivò a quasi due milioni di persone che scesero per le strade in tutto il paese). Dopo aver ottenuto il ritiro dell’esercito siriano, il Paese sancì la scelta fondamentale di essere una repubblica parlamentare interconfessionale. Dirà più tardi Frangieh: «Ci stiamo battendo da quasi un secolo per difendere l’idea che è possibile vivere assieme, cristiani e musulmani, uguali nei nostri diritti e doveri e diversi nelle nostre appartenenze religiose».
Alle elezioni politiche del giugno 2005, Samir Frangieh venne eletto nell’ambito dello schieramento vincente dell’Alleanza 14 marzo, che metteva insieme la Courant du Futur del sunnita Saad Hariri con le Forces Libanaises del maronita Samir Geagea e i Falangisti cristiani di Pierre Amin Gemayel ed altri. L’Alleanza ottenne la maggioranza assoluta (56%) rispetto al partito autonomo antisiriano del generale Aoun (l’attuale presidente della Repubblica) e al Blocco filosiriano che ottenne solo un magro 27% dei consensi. Questo periodo, che fu chiamato La rivoluzione dei cedri, vide Samir Frangieh in primo piano nell’impegno politico e culturale. Uno dei suoi slogan preferiti era “vivre ensemble”: «Cristiani e musulmani libanesi sono una straordinaria chance gli uni per gli altri. Per i cristiani, l’Islam è il bastione inespugnabile contro il relativismo mortale venuto dall’Occidente; per i musulmani, i cristiani sono la porta aperta alla ragione critica che permetterà loro di riannodare i legami con un glorioso passato».
Nel suo libro Viaggio alla fine della violenza (2012), Frangieh oltre a raccontare la violenza legata all’identità, la guerra civile e l’assassinio di Rafiq Hariri, spiega il “vivere insieme”, la cultura del legame e la possibile costruzione di un avvenire di pace in Libano e nel mondo arabo.
Samir Frangieh, stimato per il suo impegno civile e intellettuale, pur con inevitabili distinguo per le scelte partitiche e per posizioni talvolta non condivise dai cristiani stessi, si spegne alla vigilia di un momento delicatissimo per il Paese che con il suo pensiero e impegno ha contribuito a costruire: il presidente Aoun, avvalendosi di una norma costituzionale, ha infatti sospeso per un mese il parlamento, con lo scopo di trovare un difficile accordo sulla legge elettorale in vista delle elezioni politiche previste entro giugno prossimo. La decisione presidenziale cerca così di evitare un vuoto legislativo che avrebbe avuto come unica alternativa l’autoprorogarsi dell’attuale legislatura. Le ultime elezioni politiche in Libano si sono infatti svolte per l’ultima volta nel 2009.