Samaritani e cirenei
Mentre papa Bergoglio comincia la sua visita in Perù, si fanno analisi e bilanci delle tre intense giornate in Cile. Queste sono state contrassegnate da tre nuclei tematici: la messa celebrata a Santiago “per la pace e la giustizia”, l’incontro di Temuco, nel Sud, durante la celebrazione dedicata al “progresso dei popoli”, l’incontro con i giovani nel santuario di Maipú, vicino alla capitale, la messa nel Nord, ad Iquique, in pieno deserto dell’Atacama, alla quale erano invitate le comunità di immigranti, di questa zona di frontiera con Bolivia, Perù e Argentina. Tre aspetti fondamentali per il Cile che fanno parte di quelle frontiere verso le quali papa Francesco cerca di spingere la Chiesa per metterla al servizio dell’umanità.
La costruzione della pace e della giustizia deve permettere di superare antiche piaghe, ingiustizie sociali (vedi per questo il precedente articolo) e gli steccati che sussistono anche dopo la fine, 28 anni fa, della dittatura. Bergoglio ha fatto spesso riferimento a elementi della cultura cilena, sia religiosa – anche quella popolare – che civile. Ha ricordato, facendole sue, le parole del cardinale Raúl Silva Henríquez: «Se qualcuno ci domanda cosa sia la giustizia (…) se forse consiste solo nel non rubare gli diremo che esiste un’altra giustizia: quella che esige che ogni uomo sia trattato come uomo». «L’operatore di pace sa che non è sufficiente dire “non faccio male a nessuno” perché, come diceva san Alberto Hurtado, “va benissimo non fare il male, ma è malissimo non fare il bene”».
A Temuco, alla presenza di rappresentanti del 9% dei cileni che discendono da popoli indigeni: mapuche, aymara, quechua, rapanui, atacamegni, Bergoglio ha esordito salutando in mapugundun (la lingua mapuche): «Mari, Mari. Küme tünngün ta niemün», buon giorno, la pace sia con voi. Qui ha sottolineato la necessità di riconoscere la diversità, perché «l’unità non è uniformità». Ed è necessario provvedere alle ingiustizie ataviche. Ha citato per questo i versi della cantante Violeta Parra: «Arauco ha una pena che non posso tacere/sono ingiustizie di secoli che tutti vedono applicare». Esiste la tentazione di annullare l’altro, e va superata. Come va superata la violenza «che rende bugiarda la migliore delle cause».
In serata, l’incontro con i giovani: un vero esempio di come parlare alle giovani generazioni usando il loro linguaggio. Li ha invitati ad essere il nuovo volto della Chiesa ed a mantenersi on line con Cristo, come quando cercano il segnale del wifi del proprio cellulare. Ma la password la suggerisce ancora una volta san Alberto Hurtado (ed il papa ha chiesto ai giovani di scriverla nel proprio cellulare): «Che farebbe Gesù al mio posto?».
Ed infine la terza frontiera: le zone di immigrazione. Ha ricordato che in aymara Iquique significa “terra dei sogni”. Questa terra «ci ricorda la grandezza di uomini e donne, di famiglie intere che, di fronte alle avversità, non si danno per sconfitti e vanno avanti cercando la vita». «Questa è terra di sogni – ha aggiunto il papa – ma facciamo in modo che continui ad essere terra di ospitalità». Un discorso che vale per questa zona dove ai naturali contatti tra migranti, non fanno seguito le buone relazioni tra Bolivia, Perù e Cile, che 140 anni or sono si disputarono con le cannonate questa zona, poi trasformata in cilena, tagliando l’accessi al mare dei boliviani.
Nel mezzo di questi momenti, una serie di incontri profondi e pregni di commozione. Come quando ha visitato le recluse del carcere femminile di San Joaquín. «Purtroppo nel Cile viene incarcerata la povertà», ha affermato la religiosa cappellana del centro. Una delle recluse ha anche aggiunto nel suo discorso una richiesta di perdono per il dolore causato con i loro delitti. Il papa era commosso: «Non lasciamoci cosificare. Non sono un numero… sono tizio che cova la speranza, perché vuole partorire speranza», ha detto Francesco. Ed ancora: «Essere privati della libertà non è lo stesso che essere privati della dignità».
Ai settori universitari ha ricordato la necessità di superare la logica elitaria del sapere, perché l’università deve essere un laboratorio che unisce nel suo seno la vita ed il camminare del popolo.
Sono interventi e presenze che hanno lasciato il segno in una comunità ecclesiale che sta cercando di costruire una Chiesa capace di rispondere alle sfide del Paese. Non a caso, parlando ai giovani il Papa ha improvvisato: «Se non siamo capaci di amare la patria, ho i miei dubbi che si sia capaci di amare Dio». Una frase coraggiosa, ma con i piedi saldamente piantati sulla terra.
Per alcuni osservatori la visita non ha incontrato gli entusiasmi e la partecipazione sperimentata in altri Paesi. Può darsi. Ma non pare che Bergoglio sia preoccupato dal numero dei fedeli quanto dalla loro genuinità. Altri analisti metteranno in luce le varie manifestazioni di rifiuto nei confronti del papa. Che non sono mancate. Si è criticato di tutto nelle reti sociali, dalle spese (sostenute peraltro dalla comunità), al tragitto, all’agenda, ai discorsi dei quali spesso si erano appena letti i titoli sui media. Interpellato da un giornalista, un signore in attesa del passaggio del papa per strada, ha dichiarato: «Non sono credente. Ma sono qui perché mi hanno stufato le critiche. È un leader spirituale e viene a visitarci. Ed io lo vengo a ricevere».
Un’ ombra che ha sorvolato la visita è quella relativa a come viene gestita la delicata questione delle persone, anche vescovi, legate al sacerdote Karadima, condannato per gli abusi perpetrati su giovani. Sebbene non ci siano prove di una loro connivenza, per varie figure della Chiesa locale, sarebbe stato più prudente e pastorale dar spazio alla richiesta di non mettere in evidenza queste persone. Ê forse questo il segno di una chiesa nuova, dove magari non si esita a distinguere tra Jorge Mario Bergoglio e papa Francesco.
Ma difficilmente queste ombre potranno offuscare la festa della presenza del Papa in Cile. Tra i tanti modi di leggerla, trovo una chiave di lettura tra i primissimi gesti compiuti qui. Quando prima di fare ingresso alla nunziatura ha salutato varie famiglie, tra le quali una con un figlio idrocefalo. Il papa ha benedetto fratellini e genitori ed al malatino ha detto: «Tu sei per noi una benedizione».
Non sono pochi i problemi del Cile, i conflitti, le sfide e le piaghe… Ma sta a noi trasformare tali piaghe in una benedizione, in una occasione per affrontarle in spirito fraterno e solidale. Il papa, oltre a fare lui stesso da samaritano e spesso da cireneo, vuole trasformarci tutti in samaritani e cirenei, capaci di portare insieme le croci della nostra storia. Bergoglio non ha portato risposte preconfezionate al Cile. Sa bene che la risposta sono gli stessi cileni.