Salvini indagato, processo appeso al voto del Senato

Il reato contestato è quello di sequestro di persona per il caso dei migranti trattenuti sulla nave Diciotti nell’estate del 2018. Decisivo il voto del M5S per l’autorizzazione a procedere  
ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

In questi giorni l’opinione pubblica è alle prese con la scottante decisione che deve assumere il Senato: consentire o no al “Tribunale dei Ministri” di Catania di proseguire un processo penale lì incardinato nei confronti del ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio Matteo Salvini. Il reato è quello di sequestro di persona «in relazione all’operazione di soccorso e salvataggio di 190 migranti effettuata in data 16 agosto 2018 dall’unità navale della Guardia Costiera U. Diciotti in zona Sar maltese, successivamente trattenuti a bordo della predetta imbarcazione ormeggiata nel porto di Catania fino al 25.08.2018», come si legge in atti.

In dettaglio, il reato è configurabile dalle ore 23.49 del 20 agosto, quando la Diciotti attraccò a Catania e lo sbarco dei migranti poté avvenire solo cinque giorni dopo per una precisa e personale decisione del ministro (questa la ricostruzione del Tribunale sotto il profilo giuridico), in grado di bloccare tutta la catena di comando.

Un reato gravissimo, aggravato dalla presenza di minori, il che già fa salire il massimo della pena irrogabile a 12 anni di reclusione, in più aggravato anche da altri fattori.

Si è nominato il “Tribunale dei Ministri”. La dicitura non è tecnica ed è a rischio di fraintendimenti: si può pensare, infatti, che i Ministri abbiamo il loro bravo tribunalino fatto solo per loro, magari addomesticabile. In realtà dal 1989 i membri del Governo, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, sono giudicati dalla magistratura ordinaria e non più dalla Corte costituzionale.

A differenza dei Tribunali comuni, però, il collegio che deve eventualmente giudicare presidente del Consiglio e ministri è composto da tre magistrati estratti a sorte tra quelli che hanno i requisiti ed è rinnovato ogni due anni: una procedura molto garantista, quindi.

Nel caso che riguarda il ministro Salvini, la procura della Repubblica di Catania aveva inviato gli atti al “Tribunale dei Ministri” con proposta di archiviazione per “infondatezza della notizia di reato”: conclusione non accettata.

Ma per andare avanti, il Tribunale ha bisogno della autorizzazione del Senato, cui appartiene Salvini, che può essere negata «ove reputi, con valutazione insindacabile, che l’inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo» (così la legge).

Il Senato quindi non può entrare nel merito del reato contestato (sostenere, ad esempio, che non sussiste), perché questo è compito esclusivo dell’Autorità giudiziaria; può solo ritenere che il procedimento non debba proseguire perché è presente anche una sola delle due ragioni esposte.

Ovviamente le zone grigie predominano e al momento non vi è certezza sull’esito del voto, che procederà come segue.

La competenza in prima battuta è dell’apposita Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato, presieduta da Maurizio Gasparri e le ipotesi che possono verificarsi sono tre:

  • La giunta non riconosce che si tratti di reato ministeriale: in questo caso restituisce gli atti e il caso passerà a un Tribunale costituito normalmente;
  • La giunta riconosce il reato ministeriale e concede l’autorizzazione a procedere: a meno che 20 senatori non chiedano anche il voto dell’Aula, gli atti vengono restituiti e il “Tribunale dei Ministri” può procedere;
  • La Giunta nega l’autorizzazione; in questo caso il voto dell’Aula è necessario: dev’essere a maggioranza assoluta dei componenti, non segreto.

Sotto il profilo politico, si tratta di un passaggio estremamente delicato per la maggioranza di governo. Se la Lega è ovviamente compatta intorno al proprio leader, il M5S vive una delle ambasce maggiori della sua esistenza, poiché la coerenza con uno dei propri presupposti («l’autorizzazione a procedere va sempre concessa»!) costerebbe la vita del governo.

Infatti, a fianco di adamantine prese di posizione («voteremo coerentemente sì»), si sono affacciate riflessioni più complesse, tese a distinguere l’attuale situazione, pur sempre legata all’attività di governo, da precedenti riguardanti reati comuni.

Comunque vadano le cose, per quella forza politica si tratta di un passaggio lacerante. Ma è l’intero governo a fare quadrato: il presidente Conte ha intestato anche a se stesso la decisione di ritardare lo sbarco, ma la responsabilità penale è personale e tocca al solo ministro Salvini difendersi.

Sapremo come andrà a finire prima delle elezioni europee? Sembra proprio di sì perché la legge prevede 60 giorni per l’espletamento delle procedure parlamentari.

 

 

 

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