Salvare la Grecia (e l’Europa)

In questi ultimi mesi ha preso corpo l’ipotesi non più di un’Europa a due o più velocità, ma di un’Europa a bassa velocità...
Manifestazioni

Ancora oggi capita di sentire qualche cittadino greco dire: «Vado in Europa», per riferirsi ad un suo prossimo viaggio in Italia, Francia, Germania. Eppure, la Grecia non solo è in Europa, è Europa, non tanto per la sua appartenenza all’Unione europea e all’euro, ma anche per esserne stata, in un certo senso, l’antico crogiolo culturale e persino politico. A distanza di venticinque secoli, la Grecia rischia paradossalmente di essere la prima crepa nell’edificio europeo, capace di innescare il “disfacimento dell’Europa”. In questi ultimi mesi ha preso corpo l’ipotesi non più di un’Europa a due o più velocità, ma di un’Europa a bassa velocità, se si deve giudicare dai tempi di reazione dei governi europei all’annunciata catastrofe finanziaria greca. Tuttavia sembra improbabile che la Grecia venga lasciata completamente a sé stessa, perché una cosa sono i fallimenti delle banche, un’altra i fallimenti dei governi. E infatti l’Eurozona si è detta disponibile – anche se con ritardo – a prestare, se necessario, un gruzzolo di miliardi di euro ad Atene.

 

Caso chiuso? No di certo. Come la crisi finanziaria mondiale ha lasciato ancora irrisolto il nodo della regolazione dei mercati per evitare la speculazione selvaggia, così la crisi “sovrana” europea (non si tratta infatti solo della Grecia; hanno seri problemi anche Irlanda, Portogallo e Spagna) ha lasciato irrisolto il nodo della governance economica comune europea. Perché di questo in fondo si tratta, ancora una volta: della rinuncia alla difesa miope degli interessi e delle “virtù” nazionali per mettere a fattor comune le potenzialità di un rilancio economico, sociale, finanziario ed etico di un continente che sempre di più rischia di apparire auto-referenziale rispetto alle grandi aree emergenti del mondo. Il rischio vero per l’Europa non è tanto un clamoroso collasso politico, prima che ancora finanziario; il vero pericolo si annida  in un’atrofia progettuale derivante dall’assenza di una vera leadership politica. Se, come ha detto Jean-Claude Trichet, «il fallimento della Grecia non è nemmeno da considerare», vorremmo che qualcuno ci rassicurasse che non lo è nemmeno, a medio termine, il fallimento del progetto politico europeo.

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