Salvare il Pianeta, pericolo greenwashing
Matteo Nardi e Letizia Palmisano sono due giornalisti ambientali impegnati da sempre nella diffusione della cultura ecologica. Per Città Nuova hanno scritto assieme un testo dal titolo originale (“10 idee per Salvare il Pianeta, prima che sparisca il cioccolato”) e ricco di preziose istruzioni, suggerimenti pratici per prendere sul serio la dimensione personale nel contrasto dei cambiamenti climatici.
Una sfida non più rimandabile come dicono ormai tutti, dopo anni di una cultura dominante che ha descritto le istanze ambientaliste come espressione di eccessivo allarmismo. E anche ora che il tempo si è fatto breve, le scelte politiche necessarie sono comunque insidiate da lobby ben precise, pronte a riciclarsi sotto una coloritura di verde e del politicamente corretto.
Come dice Simone Cosimi nell’introduzione al testo di Nardi e Palmisano è ormai evidente che “la geopolitica è personale“, ma le scelte individuali consapevoli non possono restare una questione privata perché aprono alla comprensione delle grandi questione strategiche del nostro tempo.
Nasce da questa consapevolezza l’intervista con gli autori di “10 idee per Salvare il Pianeta, prima che sparisca il cioccolato”.
Quali sono, a vostro parere, i settori più in pericolo di cadere nella retorica greenwashing? E quali sono i modi per poterla contrastare?
Il greenwashing è purtroppo in agguato dietro ogni settore produttivo, ma sicuramente l’alimentazione e la cosmesi sono tra quelli che più di altri rischiano di propinare lucciole per lanterne ai consumatori. Non è infatti raro che prodotti che non hanno davvero nulla di sostenibile vengano venduti con sgargianti packaging color verde o con nomi come “natural” o “green” al solo scopo di aumentarne le vendite. Per questo è fondamentale informarsi sempre sui prodotti che acquistiamo: quale azienda li produce? In che modo? Quali sostanze vengono usate nella loro lavorazione? Parola d’ordine è dunque “informarsi” magari ricercando quei prodotti che possiedono certificazioni rilasciate da enti autorevoli che potrebbero aver già analizzato il prodotto per noi verificandone la sostenibilità.
La scelta dell’austerità ragionevole dei consumi può essere solo il frutto di una scelta virtuosa personale o in certi casi è necessario anche la forza della legge?
Più che di austerità si dovrebbe parlare di efficienza, ad ogni modo le scelte individuali sono il punto di partenza ma da sole non bastano. La rivoluzione deve partire da noi certo, per poi arrivare alla politica. Senza leggi giuste e ponderate non solo non sarebbe possibile ridurre drasticamente i macro-consumi, ma non si riuscirebbe nemmeno a proteggere l’ambiente da tutti i criminali che lo danneggiano per un proprio tornaconto personale.
La questione rifiuti assedia una metropoli come Roma nonostante i diversi proclami di raccolta differenziata. Cosa è mancato finora e quali percorsi vedete possibili per una città che si avvicina al giubileo del 2025?
Il problema di Roma in relazione ai rifiuti è endemico e, a fasi alterne, la città si riempie di spazzatura in strada. Questo perché dopo la chiusura della discarica di Malagrotta e dopo la parziale chiusura di alcuni impianti di trattamento meccanico biologico dell’indifferenziato, la capitale deve periodicamente contattare le altre regioni per poter inviargli i propri rifiuti. Ogni amministrazione che si è succeduta negli ultimi anni ha le sue colpe, così come le hanno tanti cittadini che non fanno correttamente la raccolta differenziata o non conferiscono i rifiuti ingombranti nelle isole ecologiche. Roma ha bisogno di un’azienda della raccolta dei rifiuti sana e in forze, di cittadini consapevoli e attivi, di più raccolta differenziata ma soprattutto di impianti che possano rendere la gestione del rifiuto differenziato rapida e a chilometro zero.
Ritorna in grande la pressione a favore del nucleare civile presentato come energia verde. Come valutate questa tendenza che si fa largo in politica come via necessaria per centrare gli obiettivi del 2030?
Sul nucleare c’è al momento quel dibattito fantascientifico che a intervalli regolari viene riproposto nel nostro Paese spinto da ultrà dell’atomo o dalle lobby del settore. Al netto infatti di tutti i problemi legati alla sicurezza e allo smaltimento delle scorie, il nostro Paese ha già espresso la sua opinione in merito al nucleare e lo ha ribadito l’ultima volta nel 2011. L’Italia ha detto no al nucleare e non dovrebbe più essere argomento di discussione e non per questione ideologiche, ma perché le tanto millantate centrali di terza generazione nemmeno hanno visto la luce in quei Paesi in cui sono in costruzione da anni e quelle di quarta generazione appartengono ad un futuro troppo lontano per poter aiutare la decarbonizzazione che ha una scadenza tassativamente fissata al, vicinissimo, 2030. In Italia siamo vicini ad alimentare metà del mix energetico grazie alle energie rinnovabili ed è su quelle che dobbiamo puntare.