Come salvare fabbrica e lavoro, una proposta da Firenze

Difendere il lavoro secondo Costituzione al tempo della globalizzazione senza regole. Tracce di un dibattito da riprendere a partire dalla proposta del collettivo GKN di Firenze per una efficace legge anti delocalizzazione  
Lavoro foto Ap/La presse

Lavoro e delocalizzazione Si può impedire ad una società di chiudere una fabbrica per poi trasferire l’attività all’estero? È sembrato possibile nel 2018 all’allora ministro del Lavoro e Sviluppo economico, Luigi Di Maio, con riferimento al caso dello stabilimento della Whirlpool di Napoli, quando annunciò l’accordo concluso con la proprietà statunitense del marchio di elettrodomestici per salvare 400 posti di lavoro. Di fatto, purtroppo, a nulla è valso il gran numero di trasferte dei lavoratori a Roma davanti ai ministeri, il blocco stradale e le tante dichiarazioni di solidarietà ricevute. Da luglio 2021 si è chiusa ogni possibilità e al nuovo titolare dello Sviluppo economico, il leghista Giancarlo Giorgetti, spetta ora trovare una soluzione alternativa del sito industriale.

La stessa dinamica coinvolge in questi giorni la Riello in provincia di Pescara dove 71 dipendenti vengono licenziati a causa della delocalizzazione in Polonia, Paese della Ue dove i costi sociali e ambientali sono molto più convenienti che in Italia.

Una normativa per essere davvero efficace in questo campo deve tener conto della complessità della divisione internazionale del lavoro, delle filiere produttive nonché delle regole vigenti a livello europeo che, di fatto, rendono difficile ogni intervento di protezione dell’occupazione.

Secondo il presidente di Confindustria Carlo Bonomi, ad esempio, in caso di leggi considerate punitive per le società estere bisogna temere la concorrenza interna alla Ue esercitata dalle imprese spagnole. Anche se è noto che nel Paese iberico sono in discussione e già approvate nuove regole anti delocalizzazioni così come sta cercando di fare, con molta fatica in Italia, il ministro del Lavoro Andrea Orlando.

Suggerimenti e istanze per una normativa efficace arrivano da molte fonti. Ad esempio,  Marco Bentivogli, ex segretario Fim Cisl, fa notare che ha poco senso limitare, come sembra nella bozza del decreto, l’applicazione della nuova legge solo alle aziende con oltre 250 dipendenti, cioè «quelle che arrivano al Mise e vanno sui giornali, ovvero un’esigua minoranza di quelle che delocalizzano o chiudono senza delocalizzare, o chi delocalizza un pezzo alla volta».

In un tempo dove si è parlato astrattamente di “responsabilità sociale dell’impresa” interviene nel dibattito pubblico, la proposta di una normativa anti delocalizzazione che arriva dai dipendenti dello stabilimento GKN di Firenze. Sito industriale che il fondo finanziario statunitense Melrose vuole chiudere come annunciato traumaticamente nel luglio scorso nonostante la mancanza di segnali di crisi della storica impresa di componenti per auto.

Grazie al sostegno richiesto ad alcuni esperti dell’associazione dei giuristi democratici, i lavoratori Gkn hanno elaborato una piattaforma di proposte che nascono dalla richiesta di poter decidere «non sulle nostre teste ma con le nostre teste».

Il “documento di indirizzo per una nuova legislazione in materia di delocalizzazioni” parte da un punto di principio costituzionale: «Delocalizzare un’azienda in buona salute, trasferirne la produzione all’estero al solo scopo di aumentare il profitto degli azionisti, non costituisce libero esercizio dell’iniziativa economica privata, ma un atto in contrasto con il diritto al lavoro, tutelato dall’art. 4 della Costituzione». Per tale ragione, considerando anche l’aggravante per l’impresa che ha ricevuto contributi pubblici, «lo Stato ha il mandato costituzionale di intervenire per arginare tentativi di abuso della libertà economica privata (art. 41, Cost.)».

Il nocciolo della proposta si può leggere nella necessità di chiedere una informazione preventiva della chiusura del sito produttivo in grado di «permettere un controllo sulla reale situazione patrimoniale ed economico-finanziaria dell’azienda, al fine di valutare la possibilità di una soluzione alternativa alla chiusura» che garantisca la continuità della produzione e i posti di lavoro. Solo una volta avviata questa soluzione alternativa si può procedere con il recesso del rapporto del vecchio datore di lavoro. Nella proposta si riconosce inoltre, in caso di cessione dell’azienda, «un diritto di prelazione da parte dello Stato e di cooperative di lavoratori impiegati presso l’azienda anche con il supporto economico, incentivi ed agevolazioni da parte dello Stato».

A sostegno di tale tesi il collettivo dei lavoratori GKN assieme ai giuristi democratici citano una sentenza (C-201/2015 del 21.12.2016) emessa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea a favore dell’autorità nazionale che può agire, in certe condizioni, a favore della protezione dei lavoratori e dell’occupazione senza ledere «la libertà di stabilimento garantita dall’articolo 49 TFUE né alla libertà d’impresa sancita dall’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE».

La vertenza fiorentina che vedrà una grande manifestazione sabato 18 settembre a Firenze, appare sempre più, quindi, un caso emblematico e concreto di quella istanza per la democratizzazione del lavoro (Democratizing Work) che è stata lanciata ad esempio nel maggio 2020 da oltre 3 mila docenti e ricercatori di più di 650 università del mondo.  Proposta che in Italia sta portando ad esempio a riscoprire strumenti come la legge Marcora che dal 1985 ha istituito un fondo destinato alla salvaguardia dell’occupazione attraverso la formazione di imprese cooperative tra dipendenti di aziende in crisi.

Ma il caso GKN, come già detto, evidenzia questioni più ampie di politica industriale, a partire dall’esame delle scelte strategiche di Stellantis, il quarto produttore di auto a livello mondiale, nato dalla fusione tra Psa e Fca. La domanda da porsi, infatti, riguarda l’intenzione dell’ex Fiat, Fca e ora Stellantis, di continuare il rapporto di fornitura di semiassi e altre componenti di alta qualità con la fabbrica fiorentina che nel 1994 ha ceduto alla GKN.

La risposta a tale quesito dovrebbe arrivare da un confronto diretto tra il governo italiano e la direzione di Stellantis, società dove lo Stato francese, da parte sua, detiene, il 6,2% del capitale sociale accanto al 14,4% posseduto da Exor, società finanziaria di diritto olandese di proprietà della famiglia Agnelli, e al 7,2% appartenente alla famiglia Peugeot.

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