Salome infocata
¦ Roma, Teatro dell’Opera. L’opera in un atto di Richard Strauss, tratta dal dramma di Oscar Wilde, ha aperto il 2007 con la regia di Giorgio Albertazzi. Il quale ha voluto proporre un Prologo, sempre da Wilde, affidato alle voci di sè stesso, Maruska Albertazzi, Anita Bartolucci e Sergio Romano, sullo sfondo delle percussioni di Mario Distaso. Operazione diversamente giudicata, dato che la musica di Strauss è di per sé assai coinvolgente ed il discorso drammatico chiaro. Senza contare che la regia con una scena unica di gusto classico ed il commento scenografico notturno, intonato sulla luna che si fa algida o rosseggiante secondo l’azione, era sostanzialmente semplice e condivisibile, nonostante l’eccesso di sensualità che sa più di déja vu che di necessità interpretativa. Lo stesso Strauss consigliava infatti una recita contenuta, perché la musica – anno 1905 – è così ricca di fascino ambiguo, di raffinatezza armonica e timbrica, ed il testo tanto esplicito nel trattare la passione folle di Salome per Jochanaan da saziare mente ed orecchio. Seducente è il tessuto orchestrale straussiano, capace di raffinatezze lunari e di sonorità già stravinskiane, su cui le voci giocano – wagnerianamente – la parte di uno strumento in gara con l’orchestra. Di qui la difficoltà di essere Salome, giovane in preda all’istinto, che Francesca Patanè ha interpretato con totale immedesimazione, danzando pure – senza doppio – nell’ossessiva e celebre danza dei sette veli con voce gagliarda e laminata e corpo slanciato. L’orchestra, guidata dalla disciplinata bacchetta di Günter Neuhold, ha dato splendida voce al decadente flusso straussiano, espressione di un musicista che vive la perdita di valori nel suo tempo e si compiace dell’estetismo, appagante ed amaro, come la fine di Salome. Meritato successo di pubblico. VALERIY SOKOLOV Roma, Stagione Orchestra di Roma e del Lazio. Parco della Musica. A vent’anni suonare con una tecnica tanto disinvolta e precisa è certo cosa notevole. Ma ancor di più lo è lo stile con cui il ragazzo ucraino affronta il famoso – oggi purtroppo poco udibile – Introduzione e Rondò capriccioso per violino e orchestradi Saint-Saëns. Perché se stile significa possedere già una personalità originale interpretativa – cioè un’anima propria -, dandole espressione grazie all’abilità di usare l’archetto e di fraseggiare unendo eleganza a fuoco, brillantezza a malinconia, ecco lo stile Valeriy lo possiede. Per la gioia entusiasta del pubblico. Dovrà e potrà maturare, senz’altro. Ma in nuceil futuro grande concertista c’è tutto. Sokolov, che ancora studia, esegue poi il Concerto n. 5 di Vieuxtemps, tipico documento della letteratura musicale romantica, non eccelso ma godibile, e vi si conferma strumentista agile. Chiude il concerto la Sinfonia Jupiter mozartiana, che Lu Ija dirige con trasporto, come sempre, e forse, meno introspezione del solito.