Sale e lievito

Quattro giorni di filo diretto con e tra parrocchie di mezzo mondo: questa è l’impressione che mi resta a conclusione dell’incontro di parrocchiani davvero speciali, provenienti da 40 nazioni europee, ma con rappresentanze anche di Corea, Sud Africa, Brasile, Argentina, Stati Uniti. Sono catechisti, membri di commissioni e consigli pastorali, animatori dei corsi per fidanzati, impegnati nelle Caritas, nei centri di ascolto… che si sono dati appuntamento dal 2 al 5 giugno, per approfondire, appunto, il loro impegno in parrocchia alla luce della spiritualità del Movimento dei focolari di cui fanno parte. Appena quattro giorni, sufficienti tuttavia a toccare con mano quanto sia profondamente mutata questa struttura più che millenaria della chiesa, che un’opinione comune considera sorpassata e in disuso. La percezione riportata nell’incontro, dal timbro particolarmente vivace, non solo per il numero dei partecipanti, di tutte le età e di così varia provenienza, è invece di segno totalmente opposto. Pur non tacendo le difficoltà in cui ciascuno di loro si trova ad operare. Il volto profondo della chiesa In questo tempo di grandi trasformazioni, in cui si stanno cercando tante strade per dare alla parrocchia un volto nuovo, Chiara Lubich nel suo messaggio letto in apertura del convegno aveva sottolineato la responsabilità del dono ricevuto: A noi il Signore ha donato un carisma per il mondo d’oggi, il carisma dell’unità. Sono sicura che esso potrà aiutare anche le comunità parrocchiali a rinnovarsi, a diventare quello che dovrebbero essere: chiesa viva, dove tutti trovano Dio, Gesù. Filo conduttore del convegno è stata, appunto, l’esperienza viva del Risorto, promessa a due o più uniti nel suo nome, per saperlo poi edificare nelle comunità parrocchiali. Un’esperienza importante, sottolineava ancora la Fondatrice nel suo messaggio, perché la presenza di Gesù costituisce il volto profondo della chiesa, come di ogni comunità cristiana. Il Risorto è stato sempre presente nella chiesa. Ma questa presenza resta spesso nascosta, dimenticata, non produce gli effetti che dovrebbe. Gesù è luce, gioia, vita, fuoco… E quando c’è lui la comunità rifiorisce, diventa il suo corpo vivo. Si realizza quanto ha affermato papa Benedetto XVI: La terra viene cambiata da valle di lacrime in giardino di Dio. Sarà questa realtà vissuta a rendere possibile – proseguiva – la presenza di Gesù in mezzo alla comunità, trasformare la parrocchia in brano di chiesa-comunione. È quanto in parte sta avvenendo. Frutto anche dell’esperienza di membri dei Focolari, che in questi anni hanno sentito e sentono di doversi impegnare per la chiesa locale. La loro presenza in oltre quattromila parrocchie di 450 diocesi è a questo proposito significativa. Storia di un impegno La nascita ufficiale di tale impegno avvenne come risposta all’incoraggiamento di papa Paolo VI, che nel lontano 1966 in un’udienza aveva invitato alcuni gruppi di parrocchiani che vivevano la spiritualità del movimento a portarla nelle loro comunità. Nacquero i movimenti parrocchiale e diocesano, le due diramazioni dei Focolari a più diretto servizio della chiesa locale. Don Adolfo Raggio, che ne è responsabile centrale, spiega che l’impegno consiste non nel cambiare le strutture, ma nel rinnovarle con l’amore, operando in sintonia con il parroco. Proprio come fa il sale, che si perde e dà sapore. E fu a tali impegnati in parrocchia, in occasione del loro primo grande congresso internazionale, che Giovanni Paolo II chiese di farsi costruttori di comunità. Incontrandoli nel 1991, il papa polacco propose di offrire un luminoso esempio di apostolato comunitario anche in parrocchia. Infine, nel 1996, li incoraggiò ad andare avanti, ad essere lievito di comunione per la nuova evangelizzazione. Ed è con grande gioia, e con grande consapevolezza, che i partecipanti al convegno hanno accolto la consegna data loro dal Santo Padre dopo la recita dell’Angelus di domenica 5 giugno in piazza San Pietro. Poche parole, un programma di vita: Cari amici, siate segno di Cristo Risorto nelle vostre comunità ed in ogni ambiente . Elinata tra due etnie Tanti esempi portati al congresso hanno dimostrato quanto l’invito del papa fosse in realtà già operante, qua e là. Come nella situazione di cui parla Elinata, una donna africana dello Zimbawe. Bulawayo, la città in cui vive, è la seconda per importanza del paese, dove è iniziato un lento, ma inesorabile conto alla rovescia verso il momento in cui, esaurite le ultime scorte alimentari, avrà inizio una vera e propria carestia. Un’inflazione galoppante, la carenza di cibo e di petrolio, hanno messo a nudo le tensioni tra le due etnie dei ndembele e degli shona, e il conflitto è esploso a livello ecclesiale quando uno dei membri del consiglio, uno shona, ha recato una grave offesa a una donna dell’associazione femminile, che è dell’altra etnia. Debra, questo è il suo nome, vive lo spirito del focolare. Nonreagisce, vuole perdonare. Ma l’uomo non accetta, e dopo una grossa lite con il parroco, abbandona la parrocchia con alcuni della sua etnia. Fanno gruppo a sé e frequentano la messa domenicale che altri sacerdoti celebrano in un garage. Il vescovo è al corrente, e soffre, ma non è ascoltato perché è ndembele. La comunità del focolare, numerosa in città e delle due etnie, si adopera per ricomporre la frattura. I giovani del movimento si rifiutano di fare incontri separati, anche a loro rischio e pericolo e contro la volontà dei genitori. Elinata, che è di etnia ndembele, decide di partecipare una domenica alla messa degli shona. Questo atto di coraggio non li lascia indifferenti, e lei trova il modo di parlare apertamente della necessità di trovare la via della riconciliazione. Contemporaneamente si rivolge agli altri parrocchiani rimasti fedeli, perché si dispongano anche loro ad accoglierli nella pace. La messa della riconciliazione e del perdono verrà celebrata solennemente qualche tempo dopo, alla presenza dell’arcivescovo, nella grande chiesa di San Patrick, addobbata a festa come il giorno di Pasqua. Se una parrocchia vi pare piccola A Bec?ej, invece, nel cuore della Vojvodina, in Serbia, si trova una parrocchia di non più di 5 mila fedeli (i cattolici sono una minoranza). In quell’angolo di mondo convivono una ventina di nazionalità: serbi, ma anche ungheresi, croati, rumeni, cechi, ucraini, russini, polacchi, slovacchi, tedeschi. E si può immaginare come tale convivenza non sia proprio idialliaca. Eppure là, quella piccola parrocchia, è diventata punto di riferimento di convivenza pacifica ed armoniosa, per la città e i villaggi circostanti. Da una ventina d’anni è penetrato in parrocchia lo spirito dell’unità, e da allora, ci dicono, sono nati rapporti fraterni, sostenuti dalla Parola di vita, che risulta un semplice, ma efficace modo di incontrare il vangelo, alla portata di tutti, anche da chi è in ricerca. Sono sorti negli anni decine di piccoli gruppi della Parola, piccole comunità vive sparse nei quartieri della città, ben oltre i confini territoriali della parrocchia . Una difficile semina Dae San, in Corea, è agli antipodi. Ma a quanto pare anche lì funziona la testimonianza di piccole comunità unite. I fedeli sono appena 1300 su una popolazione di 22 mila abitanti e per la maggior parte hanno ricevuto il battesimo da adulti. Il parroco, Thomas Maria Chang, fa pensare al seminatore paziente del vangelo. Una semina non agevole, in una cittadina dove un processo di industrializzazione selvaggia sta soffocando le tradizionali attività, legate al mare ed alla pesca.Il vescovo tre anni fa lo mandò apposta in quella parrocchia, chiedendogli di ricucire la frattura tra i fedeli originari del posto e nuovi arrivati, operai nelle industrie. Ma… pareva esserci un ostacolo insormontabile: l’età del parroco! Senza nemmeno guardarlo in faccia, tutti gli chiedevano quando sarebbe andato in pensione. In una chiesa giovane come quella coreana, un prete di sessant’anni era considerato anziano. Don Thomas raccolse la provocazione. Si fece giovane con i ragazzi e saggio con gli adulti, e riuscì a farsi accettare dagli uni e dagli altri. Il segreto? Continuare ad amare tutti con la giovinezza del vangelo. Per costruire e ricostruire insieme a loro la comunità cristiana. Dopo la cresima In molte parrocchie di nazioni tradizionalmente cristiane, uno dei problemi più grossi è l’abbandono della pratica religiosa. Un esempio tra tanti, Colle Salario, una cintura di palazzine a nord della capitale. Destinato anch’esso a diventare quartiere-dormitorio come tanti, troppi della periferia di Roma. Se non fosse stato per quel parroco caparbio, che incominciò a celebrare la messa domenicale in un garage mentre ancora si costruiva la chiesa. Un giorno – spiega il parroco, don Enrico Gemma – viene da me una famiglia del Movimento dei focolari. Mi dicono di volersi mettere a disposizione della parrocchia. Lui fa il fotografo. Gli chiedo di fare il servizio fotografico per le prime comunioni. Fu il primo anello di una rete. Pino, nella sua semplicità, mi dice: Vedi, don Enrico, noi ora andiamo a questa celebrazione. Tu a fare il parroco ed io il fotografo. Ma se noi ci vogliamo bene in Gesù e cerchiamo di amare tutti coloro che incontreremo, allora lui sarà presente e darà senso a tutto quello che faremo. Che ne dici?. Dissi di sì al mio parrocchiano. Ed ebbi l’impressione di aver celebrato un sacramento. Oggi a me sembra che, da quel momento, in parrocchia, oltre la presenza eucaristica, ci sia anche, in modo sempre crescente, la presenza promessa a due o più uniti nel suo nome. Pino è stato il primo anello della catena, Sono famiglie come quella di Pino, di Diana e Fabio con i loro due ragazzi Alessio e Veronica, ad occuparsi ora specialmente dei ragazzi che si preparano a ricevere i sacramenti della comunione e della cresima. Perché talvolta è necessario conoscere e fare amicizia con i loro genitori, e delle famiglie sono in questo senso le più adatte. Alessio, dal canto suo, si mette a disposizione per le attività ricreative. È piuttosto bravo con la chitarra, il che non guasta. Ho capito – dice – che per me è molto importante incontrarmi con gli altri giovani del movimento per la mia formazione all’Ideale dell’unità, per poterlo vivere con entusiasmo con gli altri ragazzi della parrocchia dove sono molto contento di donarmi.

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