Sale della terra con i giovani
Ho incontrato i Salesiani nel 1966 nel campo scuola di Valgrande. Sono stato conquistato dal clima di famiglia, di accoglienza, di simpatia e dall’amore speciale che i Salesiani avevano verso noi ragazzi. Una notte ci parlano di Luigino Possamai, un giovane salesiano coadiutore, morto da poco a Udine, in seguito ad un incidente stradale. In quel momento sento la chiamata. Voglio prendere il suo posto. Così divento salesiano.
A 23 anni, nel 1974, sono all’ultimo anno di formazione: esame di perito grafico e professione perpetua. Ma Dio mi mette alla prova con la morte improvvisa del papà per un incidente stradale. Sento che tutto crolla, anche la mia scelta salesiana. Sono il primo di sette fratelli. Chiedo alla mamma cosa fare: “Se Dio ti ha chiamato, continua per la tua strada, Dio ci aiuterà”. Termino gli studi e faccio la professione perpetua.
A settembre sono inviato a Venezia, all’Isola di S. Giorgio. Scopro che Luigino Possamai era una vocazione di S. Giorgio e vi aveva fatto i suoi studi. Dio mi aveva preso in parola, mettendomi proprio al posto suo. In quella nuova casa mi sento arrivato, in piena attività con i ragazzi, come insegnante e assistente del convitto.
L’incontro con il Movimento dei Focolari
Dopo un po’ di tempo si presentano le prime difficoltà. Il rapporto con i ragazzi si fa teso e difficile. Spesso mi arrabbio pesantemente, in particolare con i ragazzi che disturbano in classe o nel convitto. Corro dalla mattina alla sera tardi, ma a volte mi sembra di girare a vuoto. Anche il mio rapporto con Dio si fa più complicato: regole, pratiche di pietà, comandamenti, sacramenti… La vita si è come ingarbugliata. Metto in dubbio anche la mia scelta di salesiano coadiutore.
In quel periodo alcuni salesiani mi avevano invitato agli incontri dei religiosi del Movimento dei Focolari, ma avevo risposto sempre negativamente, a motivo della “doppia appartenenza”. Prima del Natale del 1978 vengo nuovamente invitato ad un incontro di religiosi che si sarebbe tenuto a Padova, ma rimando la risposta.
Una sera partecipo ad una cena di classe organizzata dagli ex-allievi. Due di loro arrivano alla fine della cena, dicendo che sono stati alla messa e all’incontro Gen, i giovani del Movimento dei Focolari. Rimango incredulo. Ma come, due giovani sanno rinunciare ad una cena per questo? Deve essere troppo importante! Fu la spinta decisiva per partecipare all’incontro.
I numerosi religiosi che partecipano sono di vari Ordini e Congregazioni. C’è una particolare bellezza e unità tra loro. Con i vari vestiti mi sembrano come fiori diversi, che compongono un unico giardino. Mi bastano le parole iniziali di Amedeo, conventuale, che anima l’incontro: “Spesso, quando riceviamo un dono, ci limitiamo a correre dietro al dono e non pensiamo ad amare il donatore. Anche con Dio facciamo così”.
Avevo corso anch’io, specie da salesiano, buttandomi nel lavoro e nell’attività, ma non avevo sufficientemente amato. Scopro che è Dio il donatore e capisco per la prima volta che lo devo mettere con più decisione al primo posto. Il mio ideale è Dio Amore. Partendo da Lui tutto si unifica e si ordina. Non devo più fare tante cose, ma una sola: amare. Mi sembra di aver trovato il perno, il centro dove tutto converge.
L’anno successivo partecipo a Vittorio Veneto alla Mariapoli, un convegno dei Focolari, nel quale viene chiesto un unico lasciapassare: vivere tra tutti l’amore reciproco di Gesù. Ricordo ancora la prima esperienza. Ero alloggiato in seminario. L’ultimo giorno, decido assieme ad un altro, di fare un atto d’amore per le suore che ci avevano servito, offrendo loro il gelato. Quando usciamo, il pullman che doveva portarci al palazzetto dello sport, era già partito. Ci incamminiamo perciò a piedi, ma ecco che una macchina si ferma e ci offre un passaggio. Quel “date e vi sarà dato” (Lc 6, 38) del Vangelo si era verificato. Allora il Vangelo è vero, mi sono detto! Da questi primi contatti conosco la spiritualità dell’unità.
Don Bosco e i giovani
Dopo aver ascoltato il racconto della storia di Chiara, sperimento l’amore di Dio per me, anche attraverso le difficoltà e i dolori. Sento in cuore una spinta a ricambiare l’amore di Dio. Anch’io posso amare! A contatto con la spiritualità dell’unità sparisce il problema della “doppia appartenenza”: l’unità riguarda anche me come salesiano.
Scopro in modo nuovo Don Bosco, sentendo con lui una particolare unità. Mi trovo ad essere più salesiano di prima. Rileggo la sua vita e le Costituzioni, sentendo molte affinità con la nuova vita che mi viene presentata. Infatti anche Don Bosco ha fatto la scelta di Dio fin da ragazzo e nei giovani poveri e abbandonati vede il volto di Gesù. A noi salesiani chiede di “essere segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani” (art. 2).
Il dialogo, lo spirito di famiglia, la scelta di Dio, l’amore reciproco sono le strade concrete del sistema preventivo che si armonizzano perfettamente con la spiritualità dell’unità. Don Bosco mi aveva insegnato i principi per lavorare con i giovani, Chiara mi aiutava a viverli, a metterli in pratica.
Innamorato di Don Bosco, mi butto ad amare i ragazzi, vedendo in loro Gesù, amandoli così come sono. Mi sforzo di chiamarli per nome. Mi offro per ripetere la lezione in classe, ad ascoltarli, a giocare con loro, ad aiutare chi è in difficoltà in laboratorio, a servirli durante la cena senza fare il carabiniere, a rifare assieme il letto in camera.
Riscopro anche la mia vocazione di salesiano laico, guardando a Maria, laica come me, imitandola nelle virtù dell’umiltà e del servizio. Con la comunità mi offro a preparare la tavola, a rispondere al telefono, a curare l’armonia degli ambienti, a portare da mangiare agli ammalati o ad ascoltare gli anziani che raccontano magari sempre le stesse cose. La vita ha un balzo. Sento di poter dire con san Giovanni: “Siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli” (1 Gv 3, 4).
Sebastiano e Piergiorgio
Un giorno, Sebastiano, un allievo del secondo anno, mi consegna il compito in bianco. La reazione è quella di dargli un brutto voto. Ma Gesù non farebbe così, mi dico, e la Parola di vita del mese mi invita ad amare i nemici: così gli dò una seconda possibilità. Fa il compito a parte e lo fa bene. Il centuplo è venuto dopo, quando, ascoltandolo e mettendomi dei suoi panni, mi confida la difficoltà di rapporto che ha con la famiglia e con Dio. Alcuni giorni dopo si confessa.
Un altro giorno mi accorgo che Piergiorgio è da solo in cortile a leggere un fumetto. Mi avvicino per fargli compagnia e guardiamo assieme il giornaletto. Alla fine mi dice: “Ma sa che lei è un professore simpatico. Se vuole la invito a casa mia perché ho tanti giornaletti”.
In realtà non sono i giornaletti che mi interessano, ma Gesù in lui. Vado a trovarlo e scopro che è doppiamente orfano. La mamma che l’ha adottato è morta. Da allora siamo diventati amici. Mi accorgo che amando sul serio i giovani, scatta l’amore reciproco. A questo proposito le Costituzioni dicono: “La casa salesiana diventa una famiglia quando l’affetto è ricambiato…” (art. 16).
Il direttore in quel periodo mi affida il gruppo del biennio vocazionale e per due anni sono catechista della casa, rimanendo così collegato con l’Ispettoria. Durante l’estate, per i ragazzi dell’Ispettoria, organizziamo il Campo mobile e l’Impresa ciclistica. è un modo per amare quello che amano i giovani e lì mi offro per cucinare, ma specialmente per vivere in comunione con don Claudio. L’art. 49 dice: “Vivere e lavorare insieme è per noi salesiani una esigenza fondamentale… Per questo ci riuniamo in comunità nelle quali ci amiamo fino a condividere tutto… Nella comunità si riflette il mistero della Trinità… e diventiamo per i giovani segni di amore e di unità”.
Non sono cuoco, anche se i ragazzi lo credono. Un giorno mi ha detto un ragazzo: “Emilio, tu devi avere un motorino nascosto, perché non sei mai stanco; corri in bicicletta e poi ci fai anche da mangiare”. È l’amore il motore nascosto che fa tutto. Ogni anno da questo gruppo alcuni giovani sentono la chiamata ad entrare tra i Salesiani.
Nel 1992 scrivo a Chiara la mia esperienza e gli chiedo una Parola di vita che sia di luce per la mia vita. Nella sua risposta, lei mi ha donato questa parola: “Voi siete il sale della terra” (Mt 5, 13). Con grande sorpresa ho scoperto che è la frase del Vangelo che Don Bosco ha commentato di più, parlando ai Salesiani: “Non dimenticate che siamo salesiani, sale della dolcezza, della pazienza e della carità. È la parola di Dio che particolarmente un salesiano deve incarnare per essere salesiano autentico, colui che conquista i giovani con la propria vita e con la scienza di Dio”.
Alessandro e Matteo
Nelle Costituzioni mi colpisce il testo dell’art. 11 “Il Vangelo è la sorgente della predilezione per i piccoli e i poveri, che ci sollecita a guarire e a salvare”. Ma chi sono i giovani poveri oggi? Quando il Rettor Maggiore nel 2002 è venuto in visita alla Comunità Proposta, gli facciamo proprio questa domanda. Ci risponde che sono quelli poveri socialmente, abbandonati e in situazioni di pericolo.
Il pensiero corre ad Alessandro, 17 anni, il cui papà si è tolto la vita; con la mamma litiga spesso e non capisce perché l’ha messo al mondo. Negli ultimi 15 giorni ha fatto molte assenze e ora, che è al terzo anno di CFP (Centro Formazione Professionale), vuole ritirarsi. è intelligente, ma non trova più motivazioni per studiare e nemmeno per vivere.
Riconosco in lui Gesù Abbandonato e così decido di fare qualcosa. Gli telefono e sabato pomeriggio vado a trovarlo. Mi dice che non ha più voglia di fare niente. Lo invito a riprendere la scuola, visto che è all’ultimo anno. Gli propongo anche di venire qualche giorno in Comunità Proposta e di fare ogni giorno un atto d’amore per gli altri, visto che si era chiuso in se stesso. Accetta volentieri, anzi partecipa a tutta la vita della comunità, alla preghiera e al servizio.
Con mia meraviglia sono gli atti d’amore che rivoluzionano le sue giornate. Don Piergiorgio, vedendolo tornare a scuola regolarmente dice: “È un mezzo miracolo”. E la mamma, ringraziandomi, ha esclamato: “Alessandro è tornato a casa felicissimo e vuole ritornare!”.
Quest’anno visitando la tomba di Chiara e su quella di Don Bosco ho affidato loro alcuni ragazzi lontani da Dio. Al ritorno, uno di loro, Matteo, è rimasto senza soldi per tornare a casa, così gli ho dato 10 €. A volte con lui discuto di fede o di scelte morali, creando solo una maggiore divisione. Allora ho deciso di tenere soltanto la porta aperta, lo aiutavo e pregavo. Prima di Pasqua, incontrandomi al mattino ha detto: “Sa che ieri mi sono confessato?”. Dice Don Bosco: “L’educazione è cosa di cuore, ma solo Dio ne possiede le chiavi”.
Pochi gioni dopo, cercavo dei ragazzi che al sabato mattina mi aiutassero a preparare 400 panini per gli animatori della Festa dei ragazzi. Ho chiamato alcuni di loro, ma nulla, tutti occupati! Così alla fine sono andato anche da Matteo che mi ha detto subito di sì. Con mia sorpresa è rimasto ad aiutarmi fino a sera, spostando altri impegni, e poi tutta la domenica per rimettere tutto a posto. è l’amore che ritorna centuplicato! La Parola di vita del mese diceva: “Qualunque cosa domanderete al Padre nel mio nome egli ve la darà” (Gv 16, 23).
Quello che è venuto particolarmente in rilievo in questi anni è stato seguire Dio, scegliere di metterlo al primo posto. La spiritualità dell’unità è stata come una luce che ha ravvivato il mio carisma, come un’acqua fresca che ha abbeverato le radici, riportandomi alla fonte del carisma salesiano.
Ho sentito una forte sintonia con Don Bosco, quando ho letto il suo discorso al 1° Capitolo generale, tenuto a Lanzo: “Il Divin Salvatore dice nel santo Vangelo che dove sono due o tre uniti nel suo nome, ivi si trova Egli stesso in mezzo a loro. Noi non abbiamo altro fine in queste radunanze che la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime… Possiamo dunque esser certi che il Signore si troverà in mezzo a noi e condurrà le cose in modo da produrre un gran bene”. Per essere segni e testimoni dell’amore di Dio ai giovani è fondamentale, nella comunità garantire l’unità e la comunione che rende presente Gesù in mezzo a noi. Chi più di Gesù sa realizzare lo “stile di famiglia” tanto caro a Don Bosco?